Un sogno grande, un principe piccolo
Si può allestire un ‘Il Piccolo Principe’, o un omaggio allo stesso lavoro di Antoine de Saint-Exupery, prescindendo da bambini in scena? Sì, se si tiene conto che il Principe in questione può esser piccolo nella figura, non nell’età (da cui appare ‘immune’). Il Piccolo Principe è dopotutto un candido che può arrivare alle grinze e ai capelli bianchi senza mutare di una virgola la propria stupefatta, tenera, dolente e interrogativa visione del mondo. Per cui, se accanto ad un ovviamente adulto aviatore, compare in scena un altro adulto, la cosa non fa una grinza. Anche perché appare subito essere il Piccolo Principe null’altro che l’alter ego dell’Aviatore, a sua volta palese autoritratto dello stesso Saint-Excupery ; sicché il dialogo tra i due, volendo, potrebbe essere affidato anche ad un unico interprete, disposto a sdoppiarsi schizofrenicamente. In conclusione, bene ha fatto Michele Bia che nel suo ‘Uomini di carta’ ha affiancato a Franco Ferrante (l’Aviatore) un altrettanto ‘uomo grande’ ( Raffaele Braia), nei panni – decisamente ‘borghesi’ – dell’uomo ‘piccolo’ della situazione. Esordio positivo per ‘Il futuro ha un cuore antico’, stagionale teatrale della Sala Scuderie Castello di Sannicandro, con questa messinscena di Skèné. Bia interviene sul testo che sforbicia e riaccomoda a misura delle forze messe in campo fino a confezionare un testo dove due mondi in apparenza opposti, ma l’uno ‘bisognoso’ dell’altro, quasi lo jin e lo yang si cercano, s’incontrano e si scontrano prima di integrarsi reciprocamente e realizzare l’osmosi. Braia è un Principino disarmante e insistente, morbido, mai stucchevole o prevedibile. Ferrante è un Aviatore impaziente e scontroso, a propria insaputa un burbero benefico incline al sogno. Nella drammaturgia di Bia, lo choc da atterraggio di fortuna sembra produrre nel pilota postale qualcosa come uno stato allucinatorio, di cui l’apparizione del Piccolo Principe farebbe parte. Condizione mentale, tuttavia, che, alla lunga e un po’ a sorpresa, si svela provvidenziale, dal momento che schiude una porta del cuore ostinatamente serrata. Una porta da lasciare aperta, per fare ingresso in una gratificante dimensione del pensiero da cui non tornare più indietro. Opportunamente la drammaturgia di Bia lascia che le cose sfumino nel perdurare di questo stato di sogno-allucinazione, divergendo dal testo originale che invece si chiude in termini di straziante languore. Piacevole la regia, a firma degli stessi interpreti, che evita sapientemente la stasi regalando pure qualche gustosa gag. E in ultimo menzione d’obbligo per l’eroico Luca Corriero che con materiale povero (anzi poverissimo) riesce a confezionare un meraviglioso biplano a dimensioni naturali ; una cosa che ci ha ricordato il migliore e compianto Pino Pascali e che non vorremmo mai sapere definitivamente smantellata. Disegno luci di Roberto Colabufo, musiche di Giovanni Allevi e Manos Adjdakis.
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Pubblicato il 7 Ottobre 2011