Cultura e Spettacoli

“Una donna apula insigne per stirpe e per ricchezze”

Vestire, dissetare, nutrire, consolare i bisognosi… Le opere di misericordia corporale traggono linfa dall’inclinazione alla solidarietà che, al di là di vistose contraddizioni, è connaturata all’uomo. La Storia, già molto prima della parola di Cristo, rigurgita di esempi in tal senso. Nel capitolo 52 del Libro XXII di ‘Ab Urbe condita’ Tito Livio accenna ad un gesto di grande generosità successivo ad una delle più grandi battaglie dell’era antica :  “Una donna apula di nome Busa, illustre per stirpe e per ricchezze, sostenne con frumento, vesti e anche denaro coloro che si erano rifugiati a Canosa, accolti dai Canosini solo entro le mura e nelle case; a lei, per questa munificenza, in seguito, terminata la guerra, furono tributati onori dal Senato”. L’epoca dei fatti è il 216 avanti Cristo, i rifugiati di cui si parla sono i resti dell’esercito romano sbaragliato da Annibale a Canne. Si immagini la scena : alcune centinaia di uomini in condizioni critiche bussano in massa alle porte della città. I Canosini, che per tutta la durata del vicinissimo scontro sono rimasti asserragliati, non sanno che partito prendere. Accogliere quella massa di fuggiaschi potrebbe esporli alla vendetta dei cartaginesi. D’altra parte a guerra finita Roma potrebbe accusare Canosa di ‘omissione di soccorso’… Alla fine i canosini adottano una condotta prudente : Aprire le porte e offrire solo alloggio, non di più. Tanto, calcolano, non dovrebbe esporli all’ira di nessuno. Ma c’è chi la pensa diversamente. Toccata dallo spettacolo desolante di uomini in buona parte feriti, esausti e a digiuno, questa Busa opta per la linea ‘umanitaria’. Sicché, oltre quelle di casa, apre anche le porte della dispensa, manda in giro i servi a comprare altro cibo, chiama a raccolta tutti i chirurghi di Canosa. Una volta allontanatosi Annibale, Busa completa l’opera fornendo i sopravvissuti dei mezzi per tornare a Roma ; il che significa non solo mettere a disposizione indumenti e cibo, come dice Livio, ma pure sesterzi a profusione. Di qui, a guerra finita, la gratitudine di Roma. Chi era Busa? Probabilmente una vedova, una ricca ereditiera. Diversamente, Livio avrebbe parlato di un patrizio facoltosissimo, ‘pietoso’ e di esemplare sentimento romano. Così era ai tempi della Roma repubblicana, le donne maritate più che comandare ancelle non potevano. Il potere (anche economico) spettava unicamente al marito, anche se spiantato e cacciatore di dote. Chissà come sarebbero andate le cose vivendo il marito di Busa. Un coniuge gretto e avido, avrebbe fatto pressione presso i concittadini perché le porte della città restassero chiuse? Ma una donna altruista come Busa non poteva andare sposa a un uomo calcolatore e dagli orizzonti meschini. Ci piace immaginare, invece, che Busa dispose esattamente come sarebbe piaciuto anche ad un compianto e non meno generoso marito. – Nell’immagine, ‘Tocador de una dama romana’, olio su tela diJuan Giménez Martín  (1855–1901) conservato presso il Museo del Prado, Madrid.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 17 Luglio 2018

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