Cultura e Spettacoli

Una mostra fotografica per i cinquant’anni di storia del movimento omosessuale

“La sessualità fa parte dei nostri comportamenti, fa parte della libertà di cui godiamo in questo mondo. È qualcosa che siamo noi stessi a creare.” Sosteneva Michel Foucault. Un diritto alla libertà di orientamento sessuale ed espressione in ogni sua sfaccettatura, molto spesso ancora oggi negato e poco considerato, a favore del quale si batte il movimento lgbtqi+ in Puglia, che ha celebrato nei giorni scorsi con la mostra ‘Fuori a Bari’, la storia dell’associazione: una raccolta di foto inedite, documenti imperdibili, copie originali di riviste, testimonianze della passione e dell’impegno con cui gli uomini e le donne gay e lesbiche hanno difeso i loro diritti nel tempo. Ne abbiamo ripercorso emotivamente le principali tappe con il curatore Leoluca Armigero.

Da cosa tutto ha avuto inizio?

“Abbiamo celebrato pochi giorni fa l’inizio del movimento di liberazione omosessuale americano, che avvenne nel ’69, quando ci fu la prima rivolta. Qui in Italia tutto iniziò nel ’72, quando a Sanremo ci fu questa protesta fuori dal casinó, dovuta ad un convegno di sessuologi i quali affermavano che l’omosessualità era una malattia. Per la prima volta alcuni manifestanti scesero in piazza per dire:” i malati siete voi!”.Fu il primo episodio di manifestazione pubblica. Nel ‘75 il Fuori che era un’associazione, e poi divenne anche una rivista, approdó a Bari, grazie a Felix Cossolo, un militante che decise di fondarne una costola anche qui. All’inizio il movimento si legò al partito Radicale.All’epoca la sinistra era molto omofoba quindi il sostegno era davvero scarso. Si trovó inizialmente spazio sul Quotidiano dei lavoratori. Abbiamo esposto il primo trafiletto di giornale in cui Cossolo riesce finalmente a far sapere che a Bari è nato il Fuori.”

Dopo questo inizio difficile come andarono le cose? 

“Il Fuori ebbe vita breve per poi lasciare il posto a un’altra rivista chiamata Lambda, per finanziarla si pensó ai campeggi estivi gay. Il primo nacque in Calabria nel ’78, poi in Puglia si tenne nell’82 e ‘83 sul Gargano. Un’occasione per fare analisi politica ma anche per liberarsi da tutti gli atteggiamenti e stereotipi borghesi: quindi raduni, finti matrimoni, partite di calcio, qualsiasi tipo di attività che potesse sostenere la causa, era ben accetta. Erano incontri a cui partecipavano anche molte persone dall’estero e che fu definito una occasione”… Dove si poteva osservare da vicino le specie più rare della fauna omosessuale, al riparo dall’ impallinamento…”, erano anni duri per il movimento, non si poteva contare ancora sull’appoggio di nessuno.”

Come cambiarono le cose negli anni ‘90?  

“Se i campeggi erano un modo per portare qui gente di fuori e sensibilizzare l’ambiente, la rivista lambda era autofinanziata. Non si poteva contare su una distribuzione del giornale vera e propria, ma si usava spedire semplicemente delle copie e poi distribuirle nei luoghi in cui si batteva, cercando di creare in questo modo una consapevolezza critica rispetto alla propria esistenza e al  proprio valore contro la discriminazione. Finalmente negli anni ‘90 le lesbiche baresi escono allo scoperto con il movimento delle Desiderande, riunendosi in masserie. Il fine era sempre lo stesso: cercare di attrarre persone da fuori e sensibilizzare alla tematica.”

Da questo scambio nacque una consapevolezza anche nell’ambiente artistico?

“Dal punto di vista artistico alcuni attivisti artisti contribuirono alla creazione di disegni e opere fatte a mano( non esisteva ancora l’utilizzo della grafica più moderno)per pubblicizzare alcune campagne contro l’Aids o per promuovere operazioni di Coming Out. Abbiamo esposto anche alcuni dei loro disegni, ricordando un famoso incontro gay alla Taverna del Maltese di Bari.”

In mostra c’è anche un video dedicato al personaggio di Varichina…

“Abbiamo pensato di proiettare un video dedicato al personaggio famoso a Bari ‘Varichina’ che non si è mai schierato, preferendo un percorso autonomo e rimanendo sempre se stesso, sfidando i pregiudizi borghesi e ogni sorta di convenzione sociale.”

Oggigiorno che impatto ha il movimento? C’è troppa retorica in generale riguardo al modo di affrontare certe istanze?

“Mi piacerebbe ricordare l’immagine di Mario Mieli che arriva con la tuta e i tacchi a spillo per simboleggiare l’incontro con il rude mondo operaio, prettamente maschilista. Egli pensava che questo modo di apparire fosse in un certo senso più efficace, perché la gente non poteva far finta di non vedere, Costringendola in qualche modo a relazionarsi. Questo per dire che la cosa importante è cercare di vedere in maniera positiva un‘opportunità.

Si sono conquistati davvero i traguardi auspicati?

“Dopo tutto il dibattito che si è consumato attorno al DDL Zan, ancora oggi ci sono tanti diritti da conquistare. Noi viviamo ancora dei condizionamenti nella società, per esempio, ci pensi due volte prima di camminare mano nella mano con il tuo compagno, o a darti un bacio in pubblico, chi ne parlava a più non posso non è sempre consapevole delle nostre difficoltà reali. Abbiamo deciso di chiudere la mostra con la scritta ‘ ricchione tossico’ che risale al 2002, e anche di recente ne è spuntata un’altra vicino al liceo Scacchi. Questo per dire che c’è tanta strada ancora da fare, per lasciare chi visita la mostra con una riflessione su cosa realmente sia cambiato oggi. Si è puntato tanto sulla cultura e sulla consapevolezza, facendo all’interno del movimento un lavoro enorme. Ma se poi volessimo vedere realmente in tutti questi anni quali obiettivi sono stati raggiunti concretamente: abbiamo dovuto aspettare trent’anni per la legge Cirinnà ,che è una sorta di vittoria mutilata. Dove c’era un vuoto normativo, abbiamo un matrimonio di serie B. Sul discorso genitorialità di fatto, niente di niente. La legge contro l’omofobia è stata affossata per la seconda volta, dopo il disegno proposto da Scalfarotto, anche questa volta con Zan non è andata meglio. Qualche legge regionale forse è stata approvata, ma non è il caso della Puglia. La mia speranza è che leggi necessarie vengano approvate. L’ambito in cui vanno ad arenarsi è sempre la scuola, la paura di parlarne a minorenni. Abbiamo sempre tante richieste di aiuto, stiamo seguendo per esempio un ragazzo trans di 13 anni, che per fortuna gode del supporto della propria famiglia e di una preside attenta, ma ci sono molti altri casi meno fortunati. Poi ci si stupisce dell’aumento dei suicidi… L’Italia è stata tra i primi a dotarsi di una legge sulle persone trans, ma attualmente solo in altri paesi il riconoscimento dell’identità di genere è stato pian piano depatologizzato e velocizzato. Da noi c’è ancora un lungo iter che prevede la presa in carico del medico legale, un periodo di psicoterapia, etc. E non c’è assolutamente spazio per tutte quelle soggettività non binarie di difficile incasellamento. Non vogliamo che Bari divenga il posto da cui bisogna per forza andare via per riuscire ad essere sé stessi. E continueremo a lottare per questo.”

Rossella Cea


Pubblicato il 14 Aprile 2022

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