Cronaca

Una tragedia che si sarebbe potuta evitare senza le lungaggini politiche e burocratiche

I primi ad essere iscritti nel registro degli indagati per il disastro ferroviario avvenuto martedì scorso  tra Andria e Corato sono stati i rispettivi capistazione dei due scali della Bari-Nord e il responsabile movimento della stazione di Andria. Dagli accertamenti è emerso infatti che il convoglio in partenza da Andria si è mosso quando non doveva con l’ok del capostazione ed il semaforo verde di via libera. Ma il pool di magistrati che ha aperto un fascicolo per omicidio colposo plurimo e disastro ferroviario sta lavorando su tre livelli d’indagine: l’individuazione delle responsabilità sulla catena di controllo che ha autorizzato il treno a partire da Andria, l’accertamento  dei controlli sulla sicurezza  della tratta da parte degli enti preposti con la questione del raddoppio della linea e la messa in sicurezza della stessa, chiarire le responsabilità (tutt’altro che marginali) degli amministratori regionali e locali sui ritardi burocratici e sul mancato utilizzo dei 180 milioni di euro stanziati dall’Unione Europea per i lavori. L’ampliamento della linea,infatti, era stato previsto già dal 2008 con l’approvazione da parte della Giunta regionale pugliese del Programma Operativo FESR 2007-2013 (i fondi europei di sviluppo regionale destinati a sanare i divari economici tra le varie regioni dell’UE) ma i ritardi accumulati hanno dilatato i tempi fino ad oggi. Oltre al raddoppio della linea per 13 km sulla tratta Corato – Barletta , in progetto c’era la realizzazione di parcheggi di scambio intermodali in prossimità di 11 stazioni con l’eliminazione di 13 passaggi a livello e l’interconnessione con la rete Ferroviaria italiana nelle stazioni di Bari centrale e Barletta. Nonostante il collaudo dell’intero progetto fosse previsto entro il 2015 i lavori sono ancora in corso: gli ultimi espropri dei terreni intorno alla tratta da raddoppiare sono stati disposti nel 2014 e per i ritardi accumulati si sono dovuti attendere gli stanziamenti e la distribuzione dei fondi europei dei programmi successivi. Tanto da arrivare fino ai giorni nostri anzi bisognerà aspettare fino a martedì 19 luglio giorno in cui si chiudono i termini per la gara di appalto per il raddoppio della tratta Corato – Andria. Prima di constatare l’errore umano, quindi,  è il caso di evidenziare le ben più gravi responsabilità politiche che hanno lasciato nelle mani della burocrazia il sistema dei controlli informatici, i meccanismi di sicurezza e di arresto immediato della circolazione in caso di pericolo, il rinnovamento del materiale rotabile e delle infrastrutture ovvero un sistema di trasporto che non lascia nelle mani di un uomo (il capostazione) l’intera sicurezza della viabilità dei convogli. Sulla tratta dell’incidente, fino a martedì, si è viaggiato con un sistema vecchio di 70 anni fa definito ‘a rischio’ anche nell’informativa al Parlamento tenuta dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Delrio: nessun sistema di frenata automatica ma una semplice comunicazione telefonica. Tra l’altro il numerico dei casellanti impiegati nelle stazioni nel 1940 è stato tagliato ma non è stato sostituito da investimenti in automazione. Cosi come avvenuto in Italia per altri gravi incidenti ferroviari  come quello di Crevalcore dove la colpa fu attribuita ai macchinisti deceduti o come nel caso di Viareggio in cui i macchinisti  sopravvissuti  hanno contribuito a mettere in luce le criminali gestioni della sicurezza che provocarono 31 vittime arse vive. Ma il processo per i responsabili delle Ferrovie dello Stato oggi si avvia verso la prescrizione: un tecnico che è stato licenziato per aver messo a disposizione dei familiari delle vittime le proprie conoscenze, mentre l’amministratore dell’epoca è stato promosso a capo di Finmeccanica. Niente di nuovo in questa Nazione trasformata dai suoi amministratori in un sobborgo in cui è preferibile finanziare i progetti dell’Alta Velocità invece di quelli per la messa in sicurezza delle tratte ad alta pendolarità (soprattutto nel meridione). Così come per anni i sindacati dei ferrovieri si sono battuti inutilmente affinchè a guidare i treni fossero due macchinisti e non solo uno a cui bisogna aggiungere l’aggravante che grazie alla legge Fornero un solo macchinista dovrà condurre fino a 67 anni. Ecco che tutto si riduce alle solite cause: politiche di austerità, tagli al trasporto pubblico, privatizzazioni delle tratte ad alto pendolarismo in favore del profitto e ritardi nell’applicazione nelle più elementari norme di sicurezza da parte di amministratori compiacenti. Gli stessi che di fronte alla devastazione del servizio pubblico e ai morti parlano di errore umano occultando le responsabilità politiche e manageriali mentre accusano di sciacallaggio chiunque denunci le gravi condizioni in cui versano tante linee locali. Ma per quanto le aule dei tribunali italiani possano raccontare storie di sentenze di assoluzione ingiustificate,  di prescrizioni, di pressioni politiche sulla magistratura e vice versa di fronte a disastri come quello che ha colpito al cuore la nostra Regione, la malafede non può essere prescritta e la sentenza peggiore per questa tragedia è già stata emessa dai cittadini: lo Stato è colpevole senza sconti di pena o attenuanti.

                                                                                                                                                                           Maria Giovanna Depalma  


Pubblicato il 15 Luglio 2016

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