Cultura e Spettacoli

Valentina Ciccaglioni: la prima donna in settant’anni ammessa nella sezione ritmica del Festival di Sanremo

“I pregiudizi sono come ratti, e le menti degli uomini sono come trappole; i primi entrano facilmente nelle seconde, ma dubito che possano mai uscirne.” diceva Lord Francis Jeffrey. Durante l’ultimo festival di Sanremo si è parlato tanto di pregiudizio e di razzismo, ma forse utilizzandone una versione piuttosto stereotipata. Una retorica che sembra stridere un po’ oggi come oggi se si considera che, in settant’anni, quest’anno è la prima volta che una donna musicista viene ammessa nella sezione ritmica orchestrale della manifestazione. Stiamo parlando di Valentina Ciccaglioni, figlia d’arte, pianista, tastierista e compositrice di origini pugliesi, che ha maturato numerose esperienze importanti a livello nazionale e internazionale. Di formazione classica, ma con un’ampia esperienza nel campo della musica moderna e soprattutto del pop italiano, ha lavorato per televisione e teatro sia come pianista che come responsabile musicale.

Com’è nata questa tua grande passione per la musica?

“Sono stata fortunata a nascere in una famiglia in cui la musica era pane quotidiano. La mia formazione è stata inizialmente classica. Ho iniziato a studiare pianoforte e poi mi sono dedicata alla musica leggera, nel 2003 ho cominciato a suonare la tastiera, lavorando poi nell’orchestra di Gigi Proietti, credo di aver vissuto un periodo musicale molto florido, anche se oggi il settore è fortemente in crisi. Mio padre ha sempre cercato di dissuadermi dall’intraprendere questa professione, proprio perché conosceva le trappole di questo mondo e le difficoltà che avrei affrontato, ma ho sempre pensato che fosse il mestiere più bello del mondo e questo mi ha dato l’energia e la spinta per continuare, nonostante le difficoltà.”

Come mai In Italia nel settore musicale c’è ancora questa forte resistenza ad accettare alcune istanze legate alla modernità?  “Potrebbe sembrare strano, ma paradossalmente in Italia l’ambiente classico, musicalmente parlando, è quello più abituato alle pari opportunità. Nell’ambito della musica leggera invece, perfino nelle grandi band di artiste donne molto note, nonostante venga sbandierato un profondo desiderio di difendere la categoria, pare si preferiscano gli uomini alle donne, un po’per l’incapacità delle donne di fare squadra, e un po’ forse per la paura di avere all’interno del proprio gruppo elementi che possano creare una sorta di conflitto che metta in ombra.”

Ritieni che sia una questione di razzismo, di forma mentis o di mancanza effettiva di donne che scelgono di fare musica usando determinati strumenti a un certo livello?  

“Credo sia fondamentalmente una questione culturale e di stereotipo. Le donne sono da sempre abituate a ricoprire certi ruoli piuttosto che altri e a cimentarsi solo con determinati strumenti: violino o arpa per esempio. Questo non avviene in altri paesi europei o negli Stati Uniti. Ho ricoperto ruoli di prestigio, sono stata direttrice d’orchestra con Massimo Ranieri per cinque anni, oltre ad aver accumulato esperienze all’estero in diverse orchestre a livello internazionale come l’Olympia di Parigi, ma sempre in contesti che vedevano in scena spettacoli di sole donne, oltretutto retribuita sempre meno rispetto a colleghi uomini. In Italia c’è ancora molta difficoltà ad accettare che anche le donne possano operare in certi settori a parità di competenze.”

Quest’anno per la prima volta nella storia di Sanremo sei stata ammessa nella sezione ritmica, come vedi  questo cambiamento?  

“Da un lato sono contenta che finalmente qualcosa stia cambiando, è positivo, dall’altro, riflettendo sulle dinamiche poc’anzi esposte, ho quasi l’impressione che si tratti unicamente di un cambiamento di facciata. Sono stati fatti tanti discorsi su gay o sul   razzismo verso i neri, ma pochissimi hanno parlato di quella che mi sembra una forma di discriminazione incresciosa al giorno d’oggi. Quando sono stata convocata per partecipare a Sanremo ero quasi incredula. Trovo strano che non se ne sia parlato più di tanto. Se non ci fossero state quelle provocazioni di Sabrina Ferilli, la faccenda sarebbe rimasta in sordina. Le sue  provocazioni erano molto importanti, anche  se pochi ci hanno fatto caso. Dal canto mio ho cercato di fare il mio lavoro con la professionalità che da sempre mi contraddistingue, senza fare polemica né creare problemi a nessuno, ma dimostrando che avrei potuto benissimo fare la stessa cosa anche prima. Ciò che rivendico, com’è giusto che sia, è di poter esercitare il mio lavoro con le stesse opportunità che può avere un uomo. E tutto ciò non deve essere una concessione, ma la normalità.”

Secondo te dove risiede il problema?

“In Italia vi è una mancanza culturale di fondo. Bisognerebbe educare al bello, alla musica e all’arte e soprattutto cercare di far capire ai giovani quanto è importante lo studio della nostra tradizione musicale, fondamentale per poter innovare, altrimenti si rischia unicamente di scopiazzare i grandi della musica moderna ma di arrivare allo spettatore in maniera superficiale, per poi essere subito facilmente rimpiazzati dalla novità di turno.”

Quali artisti hai trovato interessanti in questo ultima edizione? 

“Mi è piaciuto molto Mahmood, perché ritengo, a prescindere dal discorso musicale, che abbia quel quid in più, quel talento naturale che travolge il pubblico e capace di emozionare. Mi piace molto Elisa per la sua bravura e attenzione alla cultura musicale e mi è piaciuto molto anche Michele Bravi, un ragazzo che sa unire personalità e professionalità in un mix vincente.”

Tu che l’hai conosciuto bene, cosa avrebbe detto il grande Gigi del Festival di quest’anno?

“Credo si sarebbe divertito molto, ma che avrebbe sottolineato sicuramente l’importanza indispensabile dell’aspetto culturale nel fare arte e musica, la necessità di avere delle basi per poter apprezzare e comprendere, e lo avrebbe fatto con la sua proverbiale umiltà e simpatia.”

Rossella Cea


Pubblicato il 15 Febbraio 2022

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