Via Beltrani n.1, occupato e abbandonato…..
Anche ieri pomeriggio erano da poco passate le quattordici e trenta, quando ci siamo ripresentati nel palazzone di quattro piani occupato da poco più di tre mesi in via Beltrani n. 1, tra Madonnella e San Pasquale pensando di trovare da quelle parti le famiglie sfrattate e i ragazzi africani che vi si sono rifugiati. E invece… anche ieri non c’era anima viva; soltanto porte spalancate, qualche pedalino e indumento appeso negli stanzoni ad asciugare e brandine sparse qua e là con tanta, ma proprio tanta sporcizia. E abbandono. Qualcuno ci abita, questo è certo, ma non sono certo i cento rifugiati politici e le sei famiglie di sfrattati, che forse in questi ultimi giorni avranno deciso di abbandonare l’immobile occupato a metà dicembre dello scorso anno. Là vicino c’hanno detto che di mattina è così desolato il palazzo occupato dai disperati perché ‘‘…anche loro vanno a lavorare’’, ma come ‘stabile occupato’ lo spettacolo che si presenta è disarmante. All’ingresso del palazzo, dopo aver passato un’inferriata, si vedono ancora cartacce, rifiuti e bottiglie di birra vuote. Poi salendo al primo piano, dopo aver evitato l’ascensore oramai fuori uso, da una parte ci sono le vecchie aule ancora chiuse d’una scuola di danza, coi muri pieni di vecchi manifesti della Fondazione e degli spettacoli che risalgono a dieci anni fa. I locali dall’altra parte, sempre al primo piano, sono stati occupati, si vede dai frammenti dei vetri rotti gettati a terra e qualche cartone steso in terra con dei maglioni gettati alla rinfusa, coi nomi degli occupanti (tutti stranieri) scritti col pennarello rosso, sulla porta. Unica testimonianza, almeno a quell’ora, d’una occupazione tetra e misteriosa, senza voce. Neanche un’anima viva, dunque, in giro a quell’ora, ieri primo pomeriggio, anche se proprio mentre guadagnavamo l’uscita abbiamo aiutato a salire le scale fino al primo piano, col suo bimbo nel carrozzino, una giovane donna di colore. Insomma, qualcuno ancora ci abita nel palazzone, ma anche se il grande freddo sembra passato, fa ancora paura pensare che ci possano essere donne e bambini in via Beltrani n.1 a passarci la notte stesi su un cartone per terra, nell’indifferenza di enti che parlano ancora di Stato Sociale e Terzo Settore….o quarto?
Il recupero dell’ex Ferrhotel occupato
Entro la fine dell’anno dovrebbe partire la ristrutturazione del Ferrhotel, l’ex dormitorio di proprietà di Grandi Stazioni che si trasformerà in un “centro polifunzionale”. Ciò che viene spacciato per un atto sensato e giusto, volto a “far uscire i migranti da uno stato di marginalità”, per comitati e reti antirazziste è solo un modo bieco di normalizzare l’esperienza di autorganizzazione che è, appunto, il Ferrhotel, togliendo ai quaranta rifugiati Somali ciò che hanno dovuto prendersi con la forza a causa delle macroscopiche mancanze delle istituzioni locali: una casa”. Il progetto del comune di Bari prevede una trentina di posti per un servizio di “residenzialità temporanea”, due belle paroline per non dire “dormitorio”. E cioè un posto gestito da altri, nel quale si può permanere solo di notte e al massimo un mese, come accade in quello gestito dalla Critas a via Duca degli Abruzzi. “Il Comune di Bari non ha ancora spiegato dove finiranno i rifugiati somali quando partiranno i lavori di ristrutturazione (temiamo di nuovo per strada), né se si procederà ad uno sgombero coatto (violento) degli attuali occupanti”, chiosano i ragazzi di Sinistra Critica, Unione Inquilini, Rete Antirazzista e del Collettivo Mercato Occupato. “Siamo curiosi di sapere chi gestirà (o forse è meglio dire ‘chi prenderà in appalto’) l’ex dormitorio di pizza Moro, ma immaginiamo verranno ‘affidati’ al solito terzo settore che si scopre interessato ai problemi dei migranti solo quando c’è da lucrare attraverso progetti con gli enti locali o la Regione. Perché, purtroppo, per molti l’immigrazione è un vero e proprio business”.
Francesco De Martino
Pubblicato il 24 Marzo 2011