Vietato gridare ‘Zara’!
Rimatore duecentesco, Schiavo da Bari è noto come autore della ‘Dottrina’, un trattato didascalico di carattere morale redatto in forma poetica. In un passo di quest’opera si legge l’invito a non praticare la ‘zara’, un tipo di gioco con i dadi. Schiavo mette in guardia contro questa sfida d’azzardo dal momento “ch’ella par dolce e poi ritorna amara”, giacché “chi troppo la chustuma o chi l’appara fa follia”. Questo breve accenno basta a dare un’idea di quanto questo gioco fosse praticato nella Bari medievale, malgrado ogni pubblica e severissima proibizione. Che quello della ‘zara’ fosse gioco diffusissimo all’epoca di Schiavo è confermato anche da Dante, il quale apre il sesto canto del Purgatorio dipingendo un convincente dopo-partita : Al termine di una sfida alla zara, mentre il perdente resta in solitudine a ripercorrere mentalmente le tappe che l’hanno condotto alla sconfitta, il vincitore si allontana attorniato dagli amici che gli si accalcano intorno nel disegno di godere indirettamente di quella vincita (la similitudine serve a indicare la folla delle anime purganti – qui i ‘negligenti’ – che si fanno intorno a Dante per essere ricordati da lui presso i loro cari nelle preghiere di suffragio in modo da vedere abbreviata l’attesa nell’Antipurgatorio). Come si giocava alla zara? Con tre dadi, e dei due giocatori uno teneva banco. Contrariamente a quanto inteso da molti commentatori, i giocatori non dovevano ‘chiamare’ il numero prima del proprio lancio, di modo che si aggiudicavano la posta solo se centravano il numero auspicato. Al più usavano gridare zara! oppure azar! (nome arabo del gioco e radice della parola ‘azzardo’), quando la somma delle facce dava una cifra compresa fra 3 e 6 oppure fra 15 e 18. Alla zara si vinceva e si perdeva a seconda di come i rispettivi punteggi si avvicendavano, indipendentemente dal valore numerico. Antenato del moderno ‘craps’, il gioco della zara fu il primo gioco a prevedere il vantaggio scientifico del banco. Come dicevamo, anche a Bari la pratica della zara incontrava lo sfavore dell’Autorità. Al di là dell’aspetto morale, perché tanta avversione verso un gioco di dadi? La ragione sta nel fatto che spesso le partite di zara si concludevano con risse e ferimenti, preludio più avanti a vendette anche sanguinose. Perché dici dado e dici imbroglio. In passato i giocatori di professione usavano dadi truccati. Una volta trovato come inserire una pallina di piombo all’interno del dado in prossimità d’uno degli spigoli o delle facce, il baro imparava a manovrare il lancio in modo da ottenere a piacere un lancio vincente o perdente. – Nell’immagine, ‘Giocatori di dadi’, olio di Nicolas Tournier (1620- 1625).
Italo Interesse
Pubblicato il 3 Febbraio 2017