Cultura e Spettacoli

Vincenzo, quell’ultimo grido di rabbia

La torpediniera era un modello di nave piccola e veloce, armata con siluri. Prendeva, poi, il nome di ariete-torpediniera se, a quella dei siluri, si aggiungeva la minaccia del rostro. Arma antichissima (ne parla Plinio il Vecchio), il rostro consisteva in un pesante oggetto da sfondamento che veniva montato a prua, appena a di sotto della linea di galleggiamento : serviva a speronare le navi nemiche. La Regia Marina schierò diverse arieti-torpediniere durante la Grande Guerra. La più famosa di queste unità portava il nome della nostra regione. L’ariete-torpediniera Puglia è passata alla storia anche perché D’Annunzio, quando cominciò a mettere in piedi il Vittoriale volle che quella nave, destinata alla demolizione, gli venisse donata per poterne staccare  la prora e il ponte superiore (completo di armamenti e strutture) e collocarli sul piccolo promontorio del grande complesso monumentale che si affaccia sul Garda. La richiesta di D’Annunzio si spiega col fatto che l’ultimo comandante del Puglia fu Tommaso Gulli, suo grande amico.  Gulli morì nel 1920 a Spalato, nel cui porto il Puglia era alla fonda. Morì insieme ad un fuochista nel corso di gravi incidenti occorsi tra la popolazione locale e alcuni marinai di quella nave a causa del rovente clima politico (l’Italia aveva occupato la Dalmazia a seguito del patto di Londra e delle clausole armistiziali). La morte di Gulli ebbe un curioso e luttuoso seguito ventitre anni dopo. Nel 1943 sua moglie Maria Nesci e i tre figli, Vincenzo, Agata e Anna, si trovavano nell’antica dimora di famiglia : il settecentesco Palazzo Gulli, a Reggio Calabria. Vincenzo era un ragazzo estremamente sensibile, soffocato da una madre autoritaria e tormentato dal culto della memoria del padre Tommaso. All’oppressione Tommaso trovava sfogo appartandosi a suonare il pianoforte. La sua fine è avvolta nel mistero. Fonti non sappiamo quanto affidabili affermano che durante l’occupazione tedesca ufficiali nazisti presero a frequentare casa Gulli, incontrando il favore delle donne di casa. Una cosa che invece spiaceva a Vincenzo, il quale al solo sentire il campanello si chiudeva nella propria stanza e apriva lo spartito. Poi, in un imprecisato giorno di settembre, il crollo : Ammucchiate in una stanza tutte le cose appartenute al padre, foto, libri e divise, dopo aver cosparso sé stesso e gli oggetti con olio di bergamotto, Vincenzo si diede fuoco. Prima di morire aveva lasciato un biglietto con queste enigmatiche parole : “Ai carnefici di mio padre le mie ceneri”…. L’incendio, nel quale egli perì, distrusse parte della villa. Dopo la disgrazia madre e sorelle abbandonarono il fabbricato, dove non tornarono più. Si disse pure che quello non fu un suicidio ma un delitto dei nazisti… E adesso c’è chi giura  che al suo interno è visibile lo spettro di un uomo vestito di nero (in Rete girano persino foto del preteso fantasma). Altri dicono che da alcune stanze vengono suoni di pianoforte, voci di bambini che chiamano la mamma… Di recente restaurato, Palazzo Gulli accoglie la sede di un’associazione.

Italo Interesse

 

 

 


Pubblicato il 31 Luglio 2019

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