Cultura e Spettacoli

Vita e morte, un tempo per uno

Non ha deluso le attese l’ultimo appuntamento di DanzABari. In cartellone al Nuovo Abeliano, giovedì scorso, erano due vette della storia della danza : ‘Le sacre du printemps’ e ‘Bolero’. In apertura il capolavoro di Igor Stravinskij, come sempre maltrattato nel titolo. ‘Sacre’ non sta per ‘sagra’, parola che evoca una serenità paesana qui totalmente assente. L’opera di Stravinskij invece s’ispira a quei remoti rituali pagani nei quali si invocavano le divinità della natura perché all’approssimarsi della primavera la terra si riconfermasse fertile e generosa e che si concludevano con un sacrificio umano. Nessuna ‘festa’ di primavera, dunque. La non-sagra di Stravinnskij è percorso selettivo destinato a chiudersi con l’individuazione del prescelto da sacrificare a divinità sanguinarie. A scendere su questa esuberante esplosione corporea, allora, non è la luce festosa della primavera, bensì il buio di un inverno senza fine. ‘Le sacre de printemps’ infonde un che di precario. Emozione che nella messinscena a cura di Enrico Morelli viene messa in evidenza con l’artificio di quindici ganci da macelleria pendenti sullo spazio scenico. La scena è tutta lì. Il resto lo fanno, e bene, il disegno luci di Cristina Spelti, i costumi di Nuvia Valestri e il gesto collettivo della MM Contemporary Dance Company. Morelli dà vita a un corpo a corpo ruvido e impietoso. Percepibili sia l’ansia che pervade questo microcosmo, sia il senso di primitivo che esso sprigiona. Quest’ultimo sentire, poi, si veste di contemporaneo nel richiamo – volontario o meno – a quel senso del tribale che gioventù imbarbarite hanno di recente riscoperto fra il degrado delle periferie delle megalopoli. Un allestimento scabro, quasi cattivo, ben diverso nello spirito da quello successivo. Di nuovo in scena le capaci forze di MM Contemporary Dance Company, questa volta sotto la direzione di Michele Merola. La novità più rilevante di questo ‘Bolero’ è di colore musicale. Con audacia e personalità Stefano Corrias inserisce in apertura, a metà e in chiusura dello spartito di Ravel tre frammenti personali per meglio venire incontro all’esigenza di Merola di esprimere quest’idea di erotismo non strettamente legata al concetto di coppia o di eterosessualità. Il risultato è un’espressione corporea che, singola o collettiva, assume cadenze da respiro. Questa associazione è suggerita da un singolare soluzione scenografica : una specie di paravento pieghevole e simile al mantice di una fisarmonica che, manovrato opportunamente, ora si raccoglie, ora si espande sinuoso come un rettile, di volta in volta risucchiando ed espellendo danzatori a seconda della necessità di averne in scena due, quattro o tutti. Una trovata che non ha mancato di lasciare il segno all’interno di una performance applaudita sì dal pubblico ma con entusiasmo leggermente inferiore rispetto a quella d’apertura.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 14 Marzo 2017

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