Zio Vanja, più buffo che patetico
Più volte abbiamo stigmatizzato che per ragioni di cassetta i cartelloni siano affollati delle opere dei Maestri a scapito dei drammaturghi emergenti. Una posizione, la nostra, anche giustificata dal fatto che nel nome di un’acquosa ‘modernità’ di questo o quell’altro autore si assiste a stravolgimenti che nulla aggiungono, se non sbadigli. Tre giorni fa al Petruzzelli davano ‘Zio Vania’, diretto da Marco Bellocchio. Ancora Chevov, pazienza. In compenso non abbiamo dovuto patire in scena personal computer, raggi laser, capigliature punk e altre gratuite amenità. Un allestimento classico, finalmente. Se non altro ci si ricorda di ‘valori’ come interpretazione, regia, costumi, luci, scene… Politeama gremito per questa produzione Goldenart che vede Sergio Rubini nei panni del protagonista e Michele Placido nel ruolo di antagonista, il tronfio Prof. Serebriakov. Due interpreti maiuscoli e felicemente nelle parti. Assai bene anche l’incantevole Lidya Liberman (Elena). Bellocchio, che non ha fretta, lascia crescere l’atmosfera. E un po’ sembra di stare al cinema con questo dipanarsi lento dell’azione, quasi l’occhio di un obiettivo che indugi tra primi piani e campi lunghi in cerca del ‘colore’ giusto. Colore che trova puntualmente, malgrado la scena di Giovanni Carluccio risulti un po’ schematica e fredda. Limite compensato da un disegno luci particolarmente felice nella scena del dialogo notturno tra Vanja e Elena e nella seconda frazione dello spettacolo, nella quale si trovano accorpati, e senza tagli, il terzo e quarto atto. Una messinscena piena di equilibrio,arricchita dalla sapienza con cui Bellocchio e soprattutto Rubini sfruttano potenzialità comiche sfuggite allo stesso Checov. In fondo ZioVanja è il dramma di un uomo mite la cui prima ed unica forma di ribellione al proprio destino di perdente e all’arroganza sottile del suo nemico (l’ex cognato Serebriakov) si spegne nel’indolenza, nel fatalismo quieto e atavico del microcosmo che anima una proprietà di campagna sperduta nella steppa. Ciò non ostante Rubini riesce con una verve intelligente e affatto debordante a confermare come anche al funerale si rida. Migro gag e caratterizzazioni opportune rendono perciò zio Vanja più buffo che patetico. Eccellente l’accoglienza della platea. Una platea gremita a dispetto della tradizione che vuole i primi cinque giorni della settimana nemici del botteghino. E invece questo Zio Vanja ha fatto due pienoni tra lunedì e sabato. Il che, se da un lato sottolinea l’irresistibilità dell’arte scenica quando affidata a mani capaci, dall’altro testimonia la ‘fame’ di teatro espressa da una città sempre più a corto di strutture.
Italo Interesse
Pubblicato il 20 Dicembre 2013