Cultura e Spettacoli

La grande cultura europea ne “La grande bellezza”

A NOI il Film di Paolo Sorrentino, “La grande bellezza”, è piaciuto e non poco. Anzi, vogliamo “statim” Anticipare che l’impressione di un “remake”, che Sorrentino avrebbe Operato con il suo Film, della “Dolce Vita” di Fellini e della “Terrazza” di Scola, la Ricchezza di Citazioni Letterarie nei Dialoghi dei protagonisti, specie quelli che Coinvolgono Jep Gambardella (Tony Servillo), sono di straordinaria Utilità per Comprendere l’esistenziale, sociale, politico, economico liquido amniotico, per Figurare un’Immagine, in cui essi scorrono la loro vita disperata che la morte precede (Jep Gambardella: “Finisce tutto così, con la morte. Prima però c’era la vita, nascosta dal bla bla…). Quali i Poeti, gli Scrittori, alcuni “tout court” Citati, altri intuibili, estraibili, come  dall’ ”In Sé”, di una Parola, di una Domanda, della Contemplazione di quegli “incostanti sprazzi di bellezza”, contenuti nella sospensione nostalgica del fluire ripetitivo delle ore, dei giorni di Jep, che Vestivano Elisa, la Fanciulla, Sfuggita al suo Cuore, tal gocciola di pioggia da un battito di palpebre ? I primi sono: Breton, Celine, Flaubert, Proust, La Capria; i secondi sono: Leopardi e Pirandello. Sì, proprio il Grande Giacomo la cui Poesia, non come  ombra di un Fantasma, “sed” come Luce, Si Aggira per il Film di Sorrentino a LiberarCI, purtroppo, della “vanitas vanitatum”, cioè dell’illusione di poter, pur con una Ricerca spasmodica, Conoscere l’Inconoscibile, di Possederlo ché, tragicamente, Desiderato. E’ il Dramma dell’Uomo e del Poeta, del quale Egli CI Mette a Parte in “Alla sua donna”: ”Viva mirarti ormai /Nulla spene m’avanza/(…) Ma non è cosa in terra /che ti somigli; e s’anco pari alcuna /Ti fosse al volto, agli atti, alla favella, /saria, così conforme, assai men bella.”. Sì, anche, Pirandello. Non possiamo non Premettere che il Romanzo di Breton, “Nadja”, ha il suo “incipit” nella Domanda che Gambardella Menziona, Conversando con un’amica sul suo attico, che sarebbe improprio definire “con vista colosseo”, semmai, pare una parte del colosseo: ”Chi sono io ?”. E Pirandello non CI Pone nella scomoda probabilità di scoprire in qualsiasi momento, stupiti anche da “imput” senza importanza, apparentemente, di non  avere un’identità o di averne infinite ? Impallinati da chi frequentiamo o da chi destabilizziamo, scombussoliamo, il che, Dice Breton, ”implica, evidentemente, un’allusione a ciò che ho dovuto cessare di essere, per essere colui che sono”. Così si spiega (non attraverso il racconto, ma attraverso la giustapposizione casuale di Jep accanto a un’ ex soubrette televisiva, a un cardinale, ottimo inventore di ricette culinarie, ad una infida, di lombi alto-borghesi, convinta di essere intellettuale solo ché da 20 anni ha rinunciato alla televisione, a un napoletano, abituale frequentatore di prostitute, solito  nell’apostrofare le compagne di trenini, “che non portano da nessuna parte”, “Ij t chiavass”, a un imbranato provinciale che ambisce calcare palcoscenici di grande fama e si trascorre in perenne inopia da disoccupazione, a una spogliarellista, non di primo pelo e malata, ecc., ecc.,) che Jep, da ragazzo ”condannato alla sensibilità” in quanto alla domanda, che ai suoi compagni si poneva: “quale fosse il bello in assoluto, essi rispondevano: “a fessa”, mentre per Lui era “l’odore delle case dei vecchi”. Così, ancora, si spiega che, da adulto venticinquenne, destinato ad essere uno scrittore di successo, per essersi conquistata la fama col suo primo ed unico romanzo,”L’apparato umano”, più tardi, a 65 anni, siamo costretti ad osservarlo   vivere, “ut animal”, con l’insano proposito di non “essere semplicemente un mondano” ma di “diventare il re dei mondani”, con la cinica arroganza non solo “di partecipare alle feste” ma “di avere il potere di farle fallire”. Tante critiche stroncature della “Grande bellezza”, come abbiamo precedentemente detto, sono state motivate dall’accusa che il film è pieno di Citazioni Letterarie e che è un “remake” de “La dolce vita” di Fellini e de “La terrazza” di Scola. Dimostreremo, più avanti, che si tratta di Opere, profondamente, diverse, soprattutto, per il Modo nuovo, da parte di Sorrentino, di Parlare dell’uomo, da millenni e millenni meritevole della “u” minuscola. Per il momento CI Preme Ribadire che l’Artista non crea, non è un “motore immobile”, ma Parte, è, ognora, in Viaggio, portando con sé il “Cibo” Umano, Culturale, Spirituale che Gli hanno Preparato e Trasmesso Coloro che prima di Lui all’Arte Si Dedicarono. Non c’è il Nulla alle spalle di un Artista: c’è la Storia, c’è l’ infinito “provare e riprovare” nel cercare il  Linguaggio che meglio possa  Esprimere la Tensione, non delle masse “bovine”, “sed” dei Singoli, delle Umane Eccezioni a Scalare il Monte alla cui Sommità sono i Valori: del Bene, della Verità, della Bellezza, della Giustizia, della Libertà. Davanti all’Artista non c’e la certezza di Scalare, completamente, il Monte, ma la Speranza di avvicinarSi alla Vetta, che è, “tamen”, un tentativo “ad infinitum”. Molti critici hanno visto uno scadimento nell’algofilia cattolica, da parte di Sorrentino, nell’episodio della ”santa” che, pur ultracentenaria, incartapecorita nella estremizzazione del volto emaciatissimo di teresa di calcutta, tenta di ascendere “la scala santa”, fidando, esclusivamente, nella sua indomabile fede, per essere sollevata dai suoi peccati con le indulgenze acquisite grazie alle inenarrabili sofferenze della sua immane ascensione. Invece, esso può essere Letto come l’allegoria (infatti, la Poetica Filmica di Sorrentino è Ispirata al grottesco e all’allegorismo) della fatica antica, a cui l’Artista deve SottoporSi, per Raggiungere l’Irraggiungibile, dati i limiti umani, e l’interminata complessità dei Valori di cui, platonicamente, nella prosaicità del circo umano, non si possono percepire neanche i barlumi, se non della Bellezza che si può incardinare nella visione estatica di bambini intenti al gioco; negli scorci di roma, che Jep (grande figura di Solitudine) in solitudine squadra di sera o al primo albeggiare lungo il “Fiume”, senza curarSi dello scurrile frasario di alcuni cultori della corsa terapeutica incontrati lungo l’argine di esso, quasi, una sorta di Atto, di Gesto Mistico di Venerazione alla paziente Arcaicità di Esso; nei tramonti spettacolari dell’urbe, la cui bellezza convulsa dà i brividi, fino ad uccidere un turista giapponese, colto da infarto al gianicolo. Non si possono contare i Debiti di Dante nei confronti della Scienza,  della Filosofia, della Poesia Classica, della Cultura Araba, della Cultura Provenzale: ”Lo buon maestro incominciò a dire: /…/quelli è omero poeta sovrano; / e l’altro è Orazio satiro che viene; /Ovidio è il terzo, e l’ultimo è Lucano”. Virgilio è il buon Maestro! Dante, sesto tra cotanto Senno, da Esso Salpa! Ecco un Esempio emblematico di come l’Artista, il Poeta Parte dallo scoglio a cui sono Approdati Coloro che prima di Lui Si Misero in Viaggio. Omero, dopo le note peripezie, finalmente, “Deposita” Ulisse, “bello di fama e di sventure”, nella petrosa Itaca tra gli affetti famigliari per i quali Egli aveva rinunciato a tante offerte d’Amore, per i quali aveva tanto lottato, rischiando la morte. Dante non fa un ”remake” dell’Ulisse Omerico, ma Lo fa Ripartire ché Imperativo Categorico alla Scienza, alla Filosofia, alla Poesia è non FermarSi mai: in ogni tempo ci sono, sempre, colonne d’ercole, da oltrepassare, c’è, sempre, un oltre con cui fare i conti. Anche se Jep e il suo Autore, pur prendendo coscienza dell’esistenza dell’oltre, decidono di non occuparsene, di non fissarsi sulla trascendenza, (da questo punto di vista il titolo del Film è, quasi, antifrastico), di non oltrepassare “la grande bruttezza” dell’ “esserci” umano al mondo, in disfacimento. Se la Bellezza si può cogliere solo in attimi, come i bagliori istantanei di una folgore o di una stella cadente, irrisi dalla banalità dei nullafacenti quotidiani e non “commossi” dai problemi di sopravvivenza dei molti nella globalizzata ingiustizia, allora continuare a vivere con la medesima pigrizia significherà per Jep essere la cartina del tornasole di qualcosa che al mondo è immodificabile ”La più consistente scoperta che ho fatto, pochi giorni dopo aver compiuto i 65 anni, è che non posso perdere tempo a fare cose che non mi va di fare”. Non vuole fare più sesso e, forse, non vuole più Amare. Non la contrapposizione di “Eros e Tanatos”, ma l’identificazione dell’accidia con la morte…civile! Pertanto, con ”La grande bellezza” siamo molto lontani da ”La dolce vita” di Fellini, ché il Maestro riminese “è un provinciale che ha cercato di capire Roma, associandola alle sue personali nevrosi sessuali (Nicole Kelly) ed anche da “La terrazza” di Scola che s’affacciava su una fuga affascinante di tetti e di cupole, quella,”contra”, di Jep (Sorrentino) che, tra l’altro non è una terrazza, ma un attico, si fa dirimpettaia del colosseo deserto, deprivato della sua terribile funzione, e ora “testimonial” di una roma non più “donna di province”, ma bordello e luogo corrotto di ogni mercimonio. La caratteristica antropologica dei frequentatori della “terrazza” era un’intellettualità di sinistra che, ancora, conservava un rapporto organico con la società italiana, pur rannicchiata nella privilegiata protezione della mamma pci, mentre quella che frequenta l’attico di Jep è un coacervo di cinismo, di disillusione radicale e di personaggi di, altrettanto, radicale improbabilità umana. L’unico Appunto che CI Sentiamo di Fare a Sorrentino è quello di non aver incluso nella trasversalità del disfacimento la piccola borghesia. Ciò che non ha fatto la Storia degli uomini ha fatto la Natura. Cosa sappiamo di come si viveva a creta, come erano fatte le case della gente comune nella sua domestica quotidianità ?  Mentre sappiamo come viveva l’ ”entourage” del potere “piazzato” nel fastoso palazzo di cnosso. I tempi e la barbarie dei barberini ci hanno conservato i resti della “domus aurea” neroniana, ma dove, come si viveva nella suburra ? La forza omicida del ventre del Vesuvio coprì di un manto di cenere lavica la vita dei ricchi e dei poveri in pompei ed ercolano e abbiamo l’idea dell’assetto urbanistico delle due città, delle dimore dei ricchi e dei poveri, perfino dei lupanari dei poveri; i ricchi avevano adibito a lupanare le loro magioni in ogni momento consone a siffatto uso, direttamente proporzionale alla loro smodata opulenza esistenziale. Cosa si saprà fra duemila anni  della gente comune “in urbe et in orbe” ? Di quella piccola borghesia e di quel proletariato borghesizzato che va a dirimere le sue frustrazioni negli stadi e nelle discoteche e, pur ampiamente, scolarizzato, china la testa al potere che lo vuole “nunc et semper” ignorante, cultore del brutto ? Poveri Sogni di Pasolini che aveva Eletto il proletariato delle periferie urbane, gli ultimi dell’africa e dell’asia a protagonisti della rivoluzione planetaria. Anche in asia e in africa sono arrivate le protesi tecnologiche  per la comunicazione e per ogni altro e diverso umano bisogno, ma in mano a terroristi, braccio militare dei più cruenti fondamentalismi religiosi, mentre le suburre romane sono i luoghi dei più miserabili affari e spacci, per fare più ricche le mafie dalle più colorite denominazioni. Da Manuale la Recitazione di Tony Servillo, a cui fanno corona uno stuolo di apparizioni attoriali di ottimo livello con lo stigma delle anime perse; non esaltanti le prove della Ferilli e di Verdone. Preziosissima la Fotografia del Film di Sorrentino: Riesce a farCI Immaginare il mare, laddove s’intravede un lembo di cielo, attraverso una cupola scoperta; roma, il tevere, i palazzi nobiliari sono trasfigurati, ma più il Fotografo, su Indicazione del Regista, opera la trasfigurazione, tanto più subentra nello spettatore l’amarezza che c’è la “bruttezza” della roma di piacentini e poi gli alveari del sacco di roma, laddove erano innumeri i prati. Per non parlare dell’ inquinatissimo Tevere nelle cui acque, 50 anni fa, Sandro Penna SI Bagnava in compagnia dell’innocente Vitalità dei Giovani Ispiratori della sua immensa Poesia. Preziosissima la colonna sonora, ove la Musica sacra, convive con le canzoni della carrà e con la techno ritmo, dal possente effetto straniante rispetto al vagare della macchina da presa che, fornita del cappello del buffone, giammai avrebbe potuto fare l’inchino, la reverenza a un’orda umana, politicamente, culturalmente, spiritualmente, civilmente, morta.

Pietro Aretino, già detto Gaetano Avena

pietroaretino38@alice.it   


Pubblicato il 11 Marzo 2014

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