Cultura e Spettacoli

Con le frecce a caccia di ‘palchi’

Suggestive pitture risalenti al sesto millennio avanti Cristo ‘affrescano’ le pareti della Grotta dei Cervi, in località Porto Badisco, vicino Otranto. Nel vasto complesso pittorico, uno tra i più grandi al mondo, in mezzo a disegni geometrici, impronte di mani e le riproduzioni di uno sciamano danzante e di un uomo dai piedi palmati, spiccano scene di caccia in cui si vedono cervi (donde il nome della grotta) insidiati da uomini armati di arco. Fa specie in questi suggestivi pittogrammi realizzati impiegando come inchiostro una mistura di guano di pipistrello e ocra rossa l’esiguo numero di cacciatori a fronte di mandrie numerose. Ciò segnala una cosa : i nostri progenitori sapevano osservare, riflettere e pianificare. Ovvero, erano in grado di fare gioco di squadra, come diremmo oggi. Il che nel caso della caccia al cervo significava attaccare la mandria da lati opposti in modo da costringere le prede a fuggire in direzione di ben mimetizzate trappole a fossa o di fatali strapiombi. Una tattica estremamente produttiva nella quale si può riconoscere in embrione il concetto di caccia intensiva. Di tutti gli animali che all’epoca potevano essere cacciati, perché a Porto Badisco viene riprodotto solo il cervo? Quei centocinquanta chili di carne erano un’assicurazione contro la fame, sì, ma forse c’era altro. Agli occhi di uomini dal pensiero rudimentale, quelle imponenti ramificazioni che amplificano l’aspetto di un animale già grande, potente e naturalmente maestoso nella corsa e nel salto, assumevano un valore con cui quello delle zanne di un cinghiale o della pelle di una lince non potevano competere. Catturare un cervo significava mettere le mani su un sicuro oggetto magico: il palco, cioè il complesso ramificato delle corna. E più esso si diramava, maggiore era il potere ad esso attribuito. Il possesso di un grande palco doveva assicurare ai suoi possessori carisma nei confronti dei gruppi rivali. Il cervo, dunque, come un’entità spirituale davanti a cui inchinarsi ad uccisione avvenuta. Gesto di devozione cui faceva seguito l’asportazione del palco con cui cingersi il capo lanciando rauche grida di vittoria ; il trofeo veniva infine ostentato all’ingresso della spelonca come segno di forza e di scongiuro, quasi una maschera apotropaica. In conclusione, se come alcuni studiosi ipotizzano, la celebre grotta dell’otrantino era un santuario dove si celebrava il rituale d’ingresso nell’età adulta, a Porto Badisco i giovani ricevevano dallo sciamano il crisma di guerriero-cacciatore.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 29 Settembre 2021

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