Cultura e Spettacoli

L’autiere, la pallacorda, la mescita…

Il 29 aprile di settantuno anni fa, moriva ‘banalmente’ Achille Starace, Segretario del Partito Nazionale Fascista dal 1931 al 1938. Era nato 46 anni prima in Puglia, a Sannicola, un piccolo centro a ridosso di Gallipoli. Caduto in disgrazia, Starace retrocesse ai margini del Regime anche sotto la Repubblica Sociale. Ugualmente rimase fedele sino all’ultimo giorno sia a Mussolini (il quale era arrivato a detestarlo al punto da farlo bandire dai suoi uffici) che ai principi sportivi che per quasi un decennio aveva ribadito con propaganda martellante. La mattina del 28 aprile del 1945 Starace, uscito di casa in tuta da ginnastica si apprestava ai quotidiani esercizi quando, credendo di riconoscerlo, alcuni partigiani gli rivolsero la parola : “Starace, dove vai?” Candidamente l’ex gerarca rispose che andava “a prendere il caffè”. Questa volta prontamente riconosciuto, Starace venne prelevato, condotto in un’aula del Politecnico, processato sommariamente e condannato a morte. Per l’esecuzione lo portarono in piazzale Loreto, dove nel frattempo erano stati appesi alla pensilina di una stazione di servizio i cadaveri di Mussolini, della Petacci e di altri gerarchi. Non intimorito, con dignità, rivolse il saluto romano al duce prima di cadere fulminato dal plotone di esecuzione. Moriva così, il più innocuo dei gerarchi, l’uomo che al fascismo, danneggiandone l’immagine senza accorgersene, aveva nuociuto più di quanto allo stesso nocque lo stesso Mussolini nelle vesti di uomo politico e di stratega. Fu Starace a vietare la stretta di mano (considerata una “mollezza anglosassone”) a beneficio del saluto romano (il braccio teso dove ergersi dal busto a 170°!). Sostituì il ‘lei’ con ‘voi’, impose la camicia nera al sabato, volle che la parola Duce fosse scritta con le sole maiuscole, stabilì l’obbligo dei ‘saluti fascisti’ al termine di ogni corrispondenza di lavoro o di carattere burocratico. Si spinse anche a istituire l’obbligo di concludere tutte le lettere private con la frase ‘Viva il DUCE’, ma Mussolini, ragionevolmente, intuendo quale effetto sarebbe potuto scaturire nel caso di messaggi di condoglianze, oppure di citazioni in giudizio, ordinanze di sfratto e così via, categoricamente lo proibì, malgrado le sue insistenze. Fu invece d’accordo nell’iniziativa che prevedeva di lasciare le luci dello studio di Palazzo Venezia accese tutta la notte, così che i passanti potessero immaginare Mussolini perennemente al lavoro. Per non affondare nel ridicolo, però, pare che Mussolini incaricasse un commesso di spegnere le luci dopo la mezzanotte… Starace promosse inoltre una campagna per l’italianizzazione  dei termini stranieri, per cui autista divenne autiere, il sandwich evolse in tramezzino, l’autorimessa sostituì il garage, il volley e il tennis vennero proibiti a beneficio di pallavolo e pallacorda, i bar furono chiusi e in loro vece aperte le mescite… Presto divenne bersaglio delle canzonature popolari. In un clandestino ‘bestiario fascista’ si leggeva : ‘L’aquila che è rapace, la lupa che è vorace, l’oca che è Starace… Per la sua cieca devozione a Mussolini, fu chiamato Claretto Petacci. Dopo la sua scomparsa si disse che era stato sepolto sotto la seguente, crudele epigrafe: ‘ Qui giace Starace / vestito di orbace / di nulla capace / Requiescat in pace. Ancora peggio fece lo storico Luigi Firpo che di lui scrisse : “Il protagonista inconscio dell’instaurazione del regime è un omino di second’ordine, dall’umido occhietto triste… Una mente sottile, esercitata, perfida, che avesse voluto attirare sul regime la marea del ridicolo non avrebbe potuto operare con maggiore efficacia”.

Italo Interesse


Pubblicato il 29 Aprile 2016

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