Cultura e Spettacoli

Da rivoluzionario a sbirro

Il 19 febbraio del 1846 si spegneva a Napoli Giovanni de’ Bianchi Dottula, marchese di Montrone, paese in cui era nato settantuno anni prima. Discendeva dai Bianchi, nobili bolognesi che nel 1669 vennero ad insediarsi in Terra di Bari, dove acquistarono il feudo di Montrone ottenendone il Marchesato nel 1790. Si imparentarono quindi con la nobile famiglia barese dei Dottula, dei quali assunsero il cognome aggiungendolo al proprio. Nel 1791 furono aggregati alla nobiltà di Bari e nel 1805 furono iscritti nei registri della Nobiltà del Regno. Dopo i primi studi sotto la guida del padre scolopio Ermenegildo Guarnieri, l’adolescente Giovanni si trasferì a Napoli per completare la sua formazione. L’impegno culturale non lo distrasse da quello politico : Abbracciata la causa della Repubblica Partenopea, divenne componente del Tribunale Rivoluzionario. Sfuggì alla cruenta repressione borbonica, dopo essersi distinto in eroiche azioni militari, come quella della sfortunata difesa dello strategico ponte della Maddalena in cui soccorse il generale Wirtz, ferito mortalmente e il cui corpo sottrasse alla crudeltà del nemico. Dopo essersi rifugiato in Francia, il marchese di Montrone rientrò in Italia per mettersi al servizio di Gioacchino Murat, del quale fu ufficiale e componente di corte con la qualifica di ‘Maggiordono di settimana’ e di ‘Gentiluomo di camera di entrata’. Ma, in ossequio ai voleri paterni, lasciò le armi e si ritirò a Bologna per poi tornare in Francia a perfezionare la conoscenza della lingua francese. Rimise piede in Italia alcuni anni dopo la restaurazione borbonica. Stranamente il suo passato di rivoluzionario non gli impedì di fare carriera nei ranghi della pubblica amministrazione (è proprio vero che il passo da rivoluzionario a sbirro è più breve di quanto si creda) : Nel 1831 fu nominato Intendente della Provincia di Bari e nel 1842 rientrò a Napoli, promosso Consultore di Stato. Appassionato dei classici, maestro di Basilio Puoti e amico del Monti, del Foscolo e del Giordani, il marchese di Montrone fu giudicato da quest’ultimo “ scrittore elegante, con qualche spirito poetico e oratorio… un eccellente ma temperato campione della ridesta classicità e dell’osservanza alla lingua tradizionale, senza mai eccessi ; ‘ché, anzi, moderatamente si avvicinava talvolta alla scuola innovatrice. Fervido di amore per Dante, voleva che gl’italiani tornassero al loro poeta per riscaldarsene l’animo anche civilmente”. Tradusse una quarantina di odi di Orazio e tutto Giovenale. Oltre a liriche sparse, restano di lui il ‘Discorso su lo stato presente della lingua italiana’ (1827) e i poemetti ’Il Peplo’ (1807) e ‘Re Manfredi’ (1826).

Italo Interesse


Pubblicato il 19 Febbraio 2016

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio