Cultura e Spettacoli

Del mostrar sembiante

Boccaccio punge ancora. Quanta freschezza, quanta intatta capacità di stuzzicare possiede il Decamerone a distanza di oltre sei secoli. Un miracolo imputabile alla bellezza mozzafiato del nostro ‘volgare’. Ma ecco il punto, come realizzare tanta bellezza ? Servono attori di professione, di buon livello e che, essendosi innamorati del miglior Boccaccio, vogliano partecipare tale gioia alla platea. Un mix di prerequisiti non sempre alla portata. Il risultato è che una delle perle della nostra letteratura si risolve a scuola in ragione di rifiuto da parte di scolari la cui lingua si è ridotta a una sbobba acquosa infarcita di neologismi infausti,  di ‘prestiti’ inopportuni e svarioni sintattico-grammaticali. A questa morra di giovani imbarbariti consigliamo la visione di ‘Del mostrar sembiante’, un primo studio del Decamerone diretto da Vito Latorre e allestito da Onirica Poetica Teatrale. Lo spettacolo, che da avantieri è in cartellone al Duse, mette in scena otto delle celebri novelle del Boccaccio, con particolare riguardo per quelle che più sono legate al tema della foia e delle corna. Donne lubriche, mariti becchi e amanti mandrilli fanno vetrina nel gesto e nella parola (e non altro) dei molto bravi  Gabriella Altomare, Francesco Lamacchia, Vito Latorre, Mauro Milano e Antonio Repole. Latorre rinuncia al fasto rinascimentale (salvo qualche bella maschera), abolisce protagonisti e comprimari, tutto mettendo nelle mani del narratore di turno. In qualche modo Latorre ricalca la struttura a contenitore  del Decameron, che prevede la narrazione a turno all’interno di una micro comunità. Qui il senso del ‘gruppo’ è ravvisabile nelle ‘divise’ (tute da operaio) indossate dagli interpreti. L’inatteso look – che considera pure un pesante trucco – fa da viatico a gag da cinema muto o da arte di strada. Quasi irridenti, un po’ saltimbanchi, i cinque giovani alternano stasi a movimenti legnosi all’interno di una scena molto minimale. C’è del coreutico in questa strana frenesia motoria che si sviluppa a mo’ di siparietto al termine di ogni racconto. La trovata funziona. Nel complesso, un allestimento vincente e assai curato che può vantare il merito di un rispetto rigoroso del testo (niente tagli, niente ‘addomesticamenti’). Come dicevamo prima, raccontata ad arte, la parola del Boccaccio si impone e sbanca, svelandosi fascinosa, piena di musicalità, oltretutto facilissima da intendere nonostante la ricercatezza del tessuto narrativo. Una volta di più ascoltando della concupiscenza di Donno Giovanni, della magnanimità di Re Carlo o dell’astuzia ‘piacevole’ di Madonna Filippa, viene da pensare a quanto si è immiserita la nostra lingua. Una lingua a cui evidentemente non è servito avere per padri un Dante, un Boccaccio, un Petrarca se la sua ultima discendente è lo sciatto idioma che infesta la Rete e i display dei telefonini.

Italo Interesse


Pubblicato il 5 Luglio 2013

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