Cronaca

L’invecchiamento della popolazione cambierà la società barese

Valentina Ferri (ritratta in foto da Ennio Cusano), dottore di ricerca in Economia della popolazione e dello sviluppo, ha solo 28 anni, ma ha già le idee chiare. Candidata al Comune, nella lista di Sel, Valentina Ferri  è tra i fondatori del Manifesto per Bari, piattaforma programmatica nata un anno fa con l’obiettivo di rilanciare la città, puntando l’attenzione sulla cultura, sulla solidarietà e sull’emergenza lavoro.

Valentina, sei dottore di ricerca in Economia della popolazione e dello sviluppo, quindi lavori molto con dati e statistiche. Attualmente, qual è la situazione a Bari dal punto di vista demografico?

Il tasso di natalità e di fecondità testimoniano una situazione tipica, i nati sono pochi e soprattutto vengono messi al mondo da genitori più grandi (In provincia di Bari i 30 e i 39 anni). Per quanto riguarda la popolazione anziana, in provincia di Bari gli ultimi dati dicono che una donna vive in media 84,4 anni e un uomo 79,6. Età elevata e distanza non trascurabile.

 E come cambierà la società di qui a qualche anno?

Il maggior numero di anziani e l’assottigliamento della fascia della popolazione in età attiva sono due elementi di grande importanza. I giovani risultano sempre meno per una contrazione di fecondità e natalità (iniziata già da tempo), ma essi sono spesso costretti ad andare via e a cambiare residenza. Molti anziani, meno popolazione in età attiva, aumento del carico sociale ed economico della popolazione attiva su quella non attiva.

L’invecchiamento della popolazione porterà ingenti problemi, soprattutto legati alla sanità e all’assistenza dei futuri anziani, che saranno sempre più numerosi, anche in seguito ad una qualità di vita migliore. Quali dovranno essere le iniziative e le idee da mettere in campo per affrontare la situazione?

Gli anziani hanno bisogno di molta cura, il fatto che i figli spesso si siano trasferiti altrove per questioni lavorative, aggrava la loro posizione, la loro solitudine cresce. Arrivano a rivolgersi ai medici per ogni minimo problema anche per questo. La solitudine è una brutta bestia! Intervistandoli si capisce la loro sofferenza. E’ necessario un maggior coinvolgimento degli over 65.

Quali sono le difficoltà che gli anziani devono affrontare quotidianamente?

Essi hanno difficoltà in molti momenti della vita quotidiana, l’informatizzazione di molti sistemi li ha tagliati fuori dal mondo più di prima, le strade della città spesso non permettono di camminare in tutta sicurezza, hanno paura di cadere e di essere derubati. Spesso sono sottoposti all’umiliazione dei ragazzini. Ho ascoltato un anziano raccontarmelo con le lacrime agli occhi, in un dialetto barese che dipingeva e caratterizzava una scena di grande tenerezza.

Ed in che modo l’amministrazione comunale può sostenerli?

L’amministrazione comunale deve prevedere per loro un maggior numero di spazi per alcuni progetti. Per esempio corsi di alfabetizzazione informatica che li facciano sentire vicini ad un progresso da cui si sentono tagliati fuori, ma soprattutto in compagnia. Politiche di invecchiamento attivo che li facciano sentire integrati nella società, sarebbero di grande aiuto per loro. Sarebbero disposti a collaborare, in particolare ad aiutare i più piccini, curare il verde pubblico, farebbero tanto per questa città. Le giovani generazioni vedrebbero l’anziano non come oggetto di scherno, ma come un angelo custode.

Passiamo ora ai giovani. Dati alla mano, qual è l’attuale condizione dei ragazzi e delle ragazze baresi?

Dico questo: la generazione 30/40 è la generazione tradita, la generazione 20/30 è quella disillusa. Disillusa perché è cresciuta con una sola idea, non c’è lavoro, per nessuno, e il lavoro dà dignità, la prospettiva di lavoro ti incoraggia a proseguire gli studi, ad investire in formazione. Proseguire gli studi è una scelta economica oltre che di passione, di voglia di approfondire. Un tempo quella scelta si poteva tradurre anche in carriere di prestigio. Un amico qualche giorno fa diceva che guadagna di più gestendo un locale rispetto ai suoi colleghi laureati e con abilitazione, i più fortunati di questi arrivano a malapena ai 800-1.000 euro al mese. La verità è che molti di noi si sono laureati e specializzati hanno portato avanti il sogno di diventare professionisti nel campo in cui hanno studiato e a quel desiderio si sono legati fortemente, tanto da accettare qualsiasi situazione (precariato o nero). Sento di dover citare anche i Neet (Not in Education, employment or Training), per loro la demotivazione è un circolo vizioso, non lavorano né studiano. Questo è un fenomeno più tipico delle periferie e, mi dispiace dirlo, la città ne ha ancora troppe di periferie, periferie sociali…

Secondo te, gli italiani, più nello specifico i baresi, possono realmente definirsi “mammoni” o c’è una ragione più profonda, che li spinge a non abbandonare la casa dei propri genitori?

Due cause sono fondamentali secondo me: la mancanza di denaro e di stabilità lavorativa non permettono ai nostri giovani di andar via o di fare progetti a lungo termine (anche progetti di matrimonio). Sono certa che rimanere a casa con i genitori abbia i suoi vantaggi, le radici, la famiglia, sono una peculiarità nostra che mi auguro possa caratterizzarci per sempre, sono una grande forza. Tuttavia, le scelte forzate non sono scelte! E noi siamo bravi ad accettarle con lo spirito migliore, farci piacere la vita con i genitori perché dei vantaggi ce li ha, ma se potessimo scegliere davvero….

Si diventa mamme sempre più tardi. A cosa è dovuto questo trend?

Sono i processi di transizione demografica che hanno portato ad un innalzamento dell’età al primo figlio legati a motivazioni sociali ed economiche. Il cambiamento del ruolo femminile nella società ha portato alla ricerca di una stabilità lavorativa ed economica prima di una gravidanza, negli anni passati era una necessità prettamente maschile. Questo influenza la possibilità di avere più d’un figlio, anche per questioni di ritmi biologici.

E a quali conseguenze potrebbe portare questo fenomeno?

Un ulteriore sbilanciamento della piramide dell’età della popolazione.  Adesso la struttura dell’età della popolazione non ha più una forma piramidale, nei Paesi a sviluppo avanzato si tratta di una forma simile a una “trottola”, l’erosione della base è dovuta al minor numero di nati. Pochi nati vuol dire meno popolazione attiva, aumento del carico sociale, meno forze giovani e probabilmente, a lungo termine, una contrazione più elevata dei tassi di natalità. Per carità, l’aumento della nostra capacità di sopravvivenza, della nostra speranza di vita alla nascita, è un aspetto assolutamente positivo, il problema è un altro però e si chiama “Invecchiamento attivo e in buona salute”. L’Europa nel 2025 avrà un 20% di persone over 65, i bisogni socio assistenziali sono tanti e saranno ancor di più, dobbiamo essere preparati, anche a Bari!

Nicole Cascione

 


Pubblicato il 18 Aprile 2014

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