Cultura e Spettacoli

Man Ray e Raoul Ubac, i precursori della fotografia moderna in mostra

“Non ha senso continuare a chiedersi se la fotografia sia o meno una forma d’arte, perché l’arte è fuori moda, e noi abbiamo bisogno di altro.” Dichiarava profeticamente Man Ray, l’artista entrato nella leggenda, considerato uno dei padri della grafica moderna, una delle figure chiave nell’arte del XX secolo. Il contesto nel quale ha operato è stato il punto di incontro dell’intelligenza artistica del Novecento, gli anni Venti e Trenta a Parigi. Attraverso uno stile incisivo e irriverente il fotografo americano esaltava l’intelligenza del mezzo espressivo, utilizzando tecniche sperimentali come la solarizzazione, il collage e le rayografie. Per Man Ray non era più importante la riproduzione esatta della realtà, ma piuttosto l’esplorazione delle possibilità creative, dai registri più onirici e surreali, al puro divertissement. Scompose l’immagine fotografica al fine di guidarla su terreni ancora sconosciuti. I suoi lavori ridefinirono ipnoticamente, iconicamente e talvolta ironicamente il concetto stesso di arte, aprendo le porte sul mondo misterioso dell’inconscio. Alcuni suoi celebri scatti dedicati all’universo femminile sono in mostra fino al 21 gennaio presso l’Alliance Française di Bari, in una illuminante mostra “ La danza indefinita delle cose”, insieme ad altre opere fotografiche di  Raoul Ubac.  Le opere di Man Ray e di Ubac si incrociarono una prima volta a Parigi, nel 1938, nella Galerie Beaux-Arts in occasione dell’Exposition internationale du Surréalisme, condividendo la scena con Max Ernst, Matta, Tanguy, Masson, Salvador Dalì, e sono anche esposte insieme in questi stessi giorni al Centre Pompidou, nella mostra ‘L’image et son double’.   “Parliamo di due fotografi che raggiungono nello stesso luogo geografico e nello stesso periodo storico, a cavallo tra gli anni ‘20 e ‘30, dei risultati molto particolari nell’ambito del fervente panorama surrealista dell’epoca, che in quegli anni era al suo apice, pur non essendo nessuno dei due francesi. Inoltre erano entrambi accomunati dal fatto di non essere solo dei fotografi, ma degli artisti a tutto tondo. La loro fotografia possiede una consapevolezza tecnica non comune, che reinventa un nuovo modo di considerare il genere fotografico ponendo l’accento sulla sperimentazione e sulle potenzialità artistiche ancora inespresse di quest’ultimo, affrancandosi da prerogative che erano considerate esclusive della pittura. La fotografia così cessa di assolvere alla sua pura funzione documentaristica e diventa arte vera e propria, ponendo le basi di tecniche che poi sarebbero diventate con la tecnologia di oggi di uso comune. Due veri e propri precursori del mondo moderno. Dal punto di vista invece della poetica queste opere sono una specie di rivelazione del doppio fondo delle cose, i confini tra realtà e immaginazione divengono labili creando nuovi mondi che sono lo specchio di punti di vista personali, dove vi è una frammentazione di senso tra significante e significato, portandoci verso un’alterità che non perde mai il suo fascino”, spiega Angelo Ceglie, collezionista e curatore della mostra.Colpiscono le opere dei due artisti raffiguranti immagini femminili, suggestioni che appaiono come rivelazioni luminescenti dedite all’inquietudine e allo sparsamento, a quei concetti di bellezza, arte e sogno teorizzati da Breton. Pose plastiche cristallizzate in contorni netti o pietrificate in effetti speciali che sembrano davvero realizzate da moderni programmi di grafica. Presente anche la celebre Nébuleuse di Ubac, che realizzò sottoponendo il negativo al calore di un fornellino, provocando la fusione e la corrosione dell’immagine. Il corpo che compare nella pittura e nella fotografia surrealista è spesso incompleto, mutilato, frammentato, sfumato, sovrapposto… La disintegrazione delle categorie e degli schemi di percezione tradizionali, insomma, nell’estetica surrealista, si esplica in primo luogo come disintegrazione del corpo. Si esprime la volontà di andare oltre la rappresentazione del corpo naturale, di mostrarlo nella sua nuda metamorfosi. La fotografia viene scomposta al fine di guidarla su terreni ancora sconosciuti. Oggetti che siamo abituati a vedere ogni giorno si trasformano per regalarci un’altra possibile visione destabilizzante che ci fa riflettere a volte anche su qualcosa di completamente estraneo all’immagine. Il negativo diviene quindi un simbolo cardine di incessanti interventi creativi: deformazioni, inversioni, reticolazioni, sovraimpressioni e giochi di luce inconsueti. Le fotografie di Man Ray in mostra sono quattro: Natasha, Anatomies (più due non titolate), realizzate a cavallo tra il 1929 e il 1930, e stampate alla fine degli anni Novanta, in concomitanza con la mostra tenutasi presso la Maison Triolet-Aragon, museo d’arte Saint-Arnault-en-Yvelines, ed editate dalla galleria Frémeaux et Associés in accordo con il Man Ray Trust, ottenute da negativi originali, capaci di restituire tutte le sfumature e gli effetti delle foto d’epoca.Dieci sono invece le opere presentate di Raoul Ubac (Pierre de Dalmatie 1932, La chambre 1938, Portrait dans un miroir 1938, Nu solarisé 1939, Portrait de René Magritte1939, Objets solarisés 1939, L’œuf 1939, La nébuleuse 1940, La face pétrifiée 1939, Groupe 1939), editate in fototipia agli inizi degli anni Ottanta dalla galleria Adrien Maeght (che si occupa fin dagli anni Cinquanta di valorizzare il lavoro di questo straordinario artista), in una tiratura di soli 50 esemplari.

 

Rossella Cea


Pubblicato il 17 Dicembre 2021

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