Cultura e Spettacoli

Nella grave brillò lo scudo dei Leucaspidi

Leucaspide… chi era costui? Invano si scorrerebbe un dizionario mitologico in cerca di un semidio dal nome così assonante con quelli degli eroi che diedero vita all’epopea dell’Ellade. Ma se si lascia il mito per considerare la Storia, ecco ‘i Leucaspidi’. Parliamo dei guerrieri che costituirono il nerbo dell’esercito macedone tra il II e il I secolo a.C. ; si chiamavano così per via dello scudo dipinto di bianco. Spesso ingaggiati come mercenari, i Leucaspidi furono anche in Puglia al seguito di Pirro. Sembra che essi si accamparono nella gravina di Statte. Da qui il nome della ben nota grave di Leucaspide, origine che ci pare più autorevole dell’accostamento greco (leucos) – latino (aspis) pensato per dare del ‘serpe bianca’ al corso sinuoso di un solco nel candore della roccia. Solo da pochi anni la grave di Leucaspide è considerata patrimonio ambientale e risorsa turistica. In passato era solo un bizzarria della natura alla quale erano più attenti i ‘forestieri’ che gli abitanti dei centri vicini. Janet Ross, nota viaggiatrice inglese che visitò la Puglia nel 1888, in ‘La Puglia  nell’800 (la terra di Manfredi)’ ci ha lasciato questa descrizione di Leucaspide : “… era tutta una fioritura di mirto, di cisti rosei, di lentischio e di peri selvatici. Sono innumerevoli le piccole pecore nere dagli occhi di topazio che brulicano fra le rocce pascolando il timo e le altre erbe odorose ; mentre il pastore che le guarda, vestito di pelle di capra, brache e corpetto in uno, è disteso sull’erba, appoggiato contro un masso o contro un albero, filosoficamente suonando un’aria melanconica con una specie di flauto primitivo ricavato da una canna che Orazio descrive”. La  descrizione in questione (’Tibia non, ut nunc, orichalco vincta tubaeque /Aemula, sed teunis, simplexque, foramine pauco’) è contenuta nei versi 202/203 de ‘L’ars poetica’ del grande poeta venosino. La traduzione qui proposta (‘Un tempo il flauto non era rivestito di rame, tentando di rivaleggiare con la tromba, ma semplice, sottile, e pochi fori gli bastavano’) conferma la eccellente conoscenza che la Ross possedeva della letteratura latina. Più avanti la nostra viaggiatrice parla della principale attrattiva di quella grave : il dolmen di San Giovanni, che però ella chiama : “Tavola del paladino”. A proposito di questo  colossale blocco di pietra poggiato “a guisa di tavola sovra tre pietre più piccole” la Ross riporta quello che “ripetono i contadini : Anticamente su quella tavola i Paladini imbandivano feste e banchetti per celebrare le vittorie che riportavano sui pagani”. E chiude dicendo : “Ora non vi sono altri esseri viventi per quella immensa distesa (Leucaspide – n.d.r.) se non della graziose lucertole rincorrentesi al sole, dei passeri color castagno scuro così frequenti in Puglia e un’allodola solitaria”. 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 12 Giugno 2012

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