Cultura e Spettacoli

Pane e quotidiano con Everett Ruess (III parte)

Pochi grammi di poesia al giorno per stare a contatto con l’universo poetico che vibra intorno a noi

Nel 1931, Everett Ruess trasforma il suo sogno in realtà. Saluta i genitori e parte per un viaggio solitario attraverso le sconfinate terre dell’Arizona, del New Mexico, del Colorado e dello Utah. Si spinge in Sierra Nevada, esplora l’altopiano del Colorado, visita i parchi nazionali di Sequoia e Yosemite e non smette mai di dipingere e scrivere. È un nomade senza fissa dimora, un artista errabondo, ma gli va bene così. Durante il suo lungo peregrinare, vende qualche disegno, realizzato con la tecnica della linoleografia, e si sposta nei territori dei Navajo, al confine fra lo Utah e l’Arizona, dove collabora con alcuni ricercatori dell’Università della California impegnati in scavi vicino a Kayenta. Fa anche amicizia con i Navajo, che gli insegnano la loro lingua natia, e con gli Hopi, che, addirittura, lo coinvolgono nell’annuale cerimonia della danza dell’antilope. Sono tutte esperienze che Everett apprezza, ma che non esauriscono la sua sete di avventura e soprattutto il suo bisogno di contatto diretto con la natura più selvaggia. Agli inizi del 1934 spedisce una lettera ai suoi genitori in cui li avvisa che non sarà reperibile per almeno due mesi e mezzo.

Solo

Solo

mi metto il cielo sulle spalle,
e lancio la mia sfida

e canto a squarciagola
il canto di conquista
ai quattro venti,

alla terra,

al mare,

al sole,

alla luna

e alle stelle.
Io vivo!

 

La mia solitudine è intatta,

in alto, le rupi selvagge merlate

splendenti incantate

sul turchese del cielo.

I silenzi selvaggi

mi hanno avvolto e vinto.

(Everett Ruess)                     

 

Rubrica a cura di Maria Pia Latorre ed Ezia Di Monte


Pubblicato il 30 Marzo 2023

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