Cultura e Spettacoli

Teatro d’improvvisazione, che sfida

Con ‘A noi due’, siè chiusa al Bravò venerdì scorso la settima edizione di Teatro Bravòff, rassegna organizzata dall’associazione culturale La Bautta, per la direzione artistica di Mariapia Autorino. Prodotto da Improvvisart, ‘A noi due’, esemplifica il concetto di teatro d’improvvisazione, specie d’arte scenica a drammaturgia estemporanea che di recente ha trovato codificazione, prima di frangersi in ‘correnti’ : match, theatersports, imprò… In generale si distingue tra short e long form, ovvero fra contenitori di una quindicina di minuti di scene eterogenee quanto a temi e modalità recitative e contenitori anche di 60’ in cui tutte le scene-situazione si riconducono ad un tema comune. In ‘A noi due’, che appartiene a quest’ultima sotto specie, il tema comune consiste nella storia d’amore, ambientata in Spagna, che sboccia (o non sboccia?) tra un goffo studente Erasmus italiano e una ragazza spagnola. Lo spunto, che alquanto ricorda uno degli episodi di ‘Un sacco bello’, celebre opera prima di Carlo Verdone, richiama attorno a sé un breve caleidoscopio di duetti : il barman e la cliente, l’infame sotto lo schiaffo della malavitosa, l’osservazione delle stelle, la curiosità astrologica… Marta Trevisi e Paolo Paticchio sono i protagonisti di quest’altra sfida. Il termine non è esagerato. Perché il teatro d’improvvisazione è sfida, persino pericolosa. Senza un minimo di ‘conforto’ drammaturgico (un ‘tema’ non è nemmeno un canovaccio), basta il più piccolo cedimento, un calo di tensione per far ‘sedere’ lo spettacolo. Tanto più che nel teatro d’improvvisazione, per lo più, ogni interprete può fare affidamento su un solo partner. A meno che, posizionato altrove che in scena o tra le quinte, non trovi posto un terzo elemento… Come nel caso dello spettacolo andato in scena al teatro di via Stoppelli in cui, collocata dietro il banco di regia, la brava Susanna Cantelmo, entrando in sintonia con gli interpreti, ne ottimizzava estro e mestiere dettando tempi ora con stacchi musicali, ora disponendo il disegno luci. Treviso e Paticchio hanno talento e qualche acuto lo toccano, specie quando la performance apre oasi di tenerezza. Resta tuttavia il limite di una tipologia teatrale senza dubbio formativa per il teatrante, ma troppo ‘anarchica’ per serrare nel pugno la platea e motivarla ad una fruizione appassionata, o almeno per scansarle a sipario calato il retrogusto del vago e dell’inafferrabile. E poi c’è il rischio, sempre elevato, che nei momenti di raccordo, quando il guizzo vincente tarda a presentarsi, si scada nel goliardico. Il che, tornando a scapito dello ‘spettacolo’, priva di significato l’esistenza del botteghino.

Italo Interesse

 

 

 


Pubblicato il 24 Dicembre 2019

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