Cultura e Spettacoli

Ultime prèfiche di Puglia

Nel mondo antico si usava enfatizzare la veglia funebre ingaggiando popolane perché cantassero nenie, piangessero e si abbandonassero a plateali segni di dolore, come battersi il petto, graffiarsi il viso o strapparsi ciocche di capelli (spesso, tuttavia, queste donne si presentavano spontaneamente per effetto di una percezione collettiva e anonima del lutto). L’usanza è sopravvissuta nel mezzogiorno d’Italia fino alle soglie degli anni sessanta. Nei paesi della Grecìa salentina le ‘chiangimuerti’ o ‘rèpute’ erano famose per il fatto di cantare nenie di origine greca. Le prefiche grike provenivano soprattutto da Martano. Le ultime di cui si conservi memoria furono Lucia Martanì, di Calimera ma nativa di Martano e Cesaria e Assunta de Matteis, anche loro di Martano. In questo piccolo centro, nel 1960, venne girato ‘Stendalì – suonano ancora’, un cortometraggio di undici minuti sui canti funebri della Grecìa salentina diretto da una giovane regista pugliese Cecilia Mangini (Mola di Bari, 1927). Girato a colori – la fotografia di Giuseppe Mitri mostra tutti i limiti che quella tecnica presentava ai suoi albori in Italia – il breve film studia come consegnare ai posteri una testimonianza autentica. Non vi riesce del tutto. ‘Stendalì’ ha poco del documentario e molto del film. La Mangini respinge la spontaneità e cerca, anche troppo, le cose (Renato May, il montatore, avrà dovuto fare i salti mortali per mettere assieme e rimodulare un centinaio di ciak, che per un corto sono tantissimi). Di rilevante il testo delle lamentazioni, tradotto con enfasi magno-greca da Pasolini e affidato alla vibrante interpretazione – fuori campo – di Lilla Brignone. Limiti imputabili alla giovane età. All’epoca la regista aveva appena trentasette anni e una breve esperienza alle spalle : Col marito, Lino del Fra, e in collaborazione con Pier Paolo Pasolini, si era già misurata col documentario occupandosi delle periferie cittadine e del controllo sociale esercitato al Potere sulle classi subalterne. Sono di quel periodo ‘Ignoti alla città’ (1958) e ‘La canta delle marane’ (1960), ispirato a ‘Ragazzi di vita’ di Pasolini. Coerentemente con questa inclinazione, la regista pugliese ha successivamente affrontato il tema dei diritti negati (‘Essere donne’, 1965), della fabbrica (‘Brindisi 66’), della sessualità ed dell’aborto (‘Comizi d’amore’). A questi film hanno fatto seguito ‘All’armi siam fascisti’ (1962). ‘Stalin’ (1963) e ‘Domani vincerò’ (1969). Con quest’ultima pellicola comincia un lunghissimo silenzio che verrà spezzato solo nel 2012, quando la Mangini si reca a Taranto per raccontare e sostenere la mobilitazione popolare contro l’Ilva e realizzando in seguito il documentario ‘In viaggio con Cecilia’. – Nell’immagine, prèfiche su un frammento ceramico attico ; 535-525 a.C. circa.

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 15 Settembre 2017

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