Cultura e Spettacoli

A Nord la fabbrica della menzogna

Riflettere sull’Unità d’Italia è d’obbligo in questi giorni anche per i teatranti. Non poteva mancare all’appuntamento Antonio Minelli, interprete e autore sensibile, nonché uomo dalla particolare parabola umana, un giorno andato via dalla natia Genova per divenire stanziale, e senza rimpianti, in Valle d’Itria. Questa ‘nazionalità’ divisa fra Italie a differente velocità gli consente una visione delle cose più attenta rispetto ad altri colleghi. Minelli, poi, non si presenta alle celebrazioni del Centocinquantenario arrabattando all’ultimo momento una cosa ruffiana (quanti l’hanno già fatto, lo stanno facendo…). Questo suo ‘Confessioni  di un Settentrionale (come al Nord si decise per il Sud)’ è frutto di anni di studio. La qualità di tanto sforzo si può individuare nell’opportunità degli stralci selezionati, nel modo di assemblarli e nella logica che sottende l’operazione. Ispirato da un limpido senso della verità e da toccante amore verso il nostro Mezzogiorno, Minelli non considera i contributi di Fiore, Gobetti, Salvemini, Lucarelli e altri padri della causa meridionalista. E’ il suo un modo diverso di smontare la tesi accusatoria con cui – almeno sino ai fasti di Torino ’61 (primo centenario dell’Unità d’Italia) – una storia bugiarda, ‘pregiudiziosa’, sbrigativa e furba ha confezionato la storiella di un Sud retrivo, immeritevole e lagnoso il cui (ipocrita) grido di dolore venne raccolto dal più elevato sangue blu d’Europa. Al pari di un judoka che, in luogo di opporre resistenza all’avversario ne asseconda la forza per volgerla a proprio vantaggio, Minelli prende a prestito le stesse parole con cui i vari Onorata, Grossi, Mercanti, Niceforo, Bixio, Bandi, Abba e altri autori politicamente allineati avvalorarono la giustezza di un plebiscito-Anschluss e di un’impresa dei Mille democratica quanto la successiva Marcia su Roma. Sono parole che si commentano da sole e che da sole screditano uomini i cui nomi ancora ‘illustrano’ piazze, corsi, viali e strade d’Italia. E’ dura sentir parlare di ‘paesi porcile’ (Bixio), di ‘africanissima lingua’ (Bandi) di briganti ‘sanguinari e vigliacchi’ (Massari)… E’ dura perché le stesse menzogne, gli stessi stereotipi negativi trovano adesso amplificazione in bocca alla Lega. ‘Confessioni di un Settentrionale’ è grosso modo una lettura di testi accompagnata dalla proiezione di immagini note e meno note, tra cui rare stampe d’epoca colorate con un processo di grafica computerizzata.  Diciamo ‘grosso modo’ perché spesso Minelli per eccesso di generosità viene fuori dalla parte e cerca il dialogo col pubblico, integra, aggiunge cose, precisa, va a braccio. Tutto ciò fa del suo lavoro un ibrido a metà strada tra la conferenza e il dossier in stile piccolo schermo (interessanti alcuni stralci di sceneggiati degli anni sessanta ; davvero acuta la ricostruzione di un’intervista dell’impossibile dove Filippo Curletti (il primo a tirar fuori gli scheletri dall’armadio dei Savoia-redentori) vuota il sacco con modalità degne d’un moderno collaboratore di giustizia, ovvero viso non inquadrato, voce deformata…). L’esuberanza di Minelli spegne un po’ il senso dello spettacolo, ma non importa. Forse lo stesso autore/interprete non aveva come obiettivo ‘intrattenere’ bensì provocare. Cosa, questa, che avviene sempre con lucidità, con garbo, senza assumere toni da tribuno populista.
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Pubblicato il 23 Novembre 2011

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