Cultura e Spettacoli

Al Bagno come all’inferno

Nell’Ottocento i mezzi di comunicazione si limitavano a pochissimi giornali. Specie qui a Sud per rendere pubbliche certe cose si ricorreva ancora al banditore o al manifesto. La differenza era al livello di comunicazione. Se il banditore rivolgendosi alla gente dei vicoli diceva i fatti alla buona, il manifesto, per il fatto di essere affisso in piazza e quindi di rivolgersi ai pochi che sapevano leggere e che poi si facevano cassa di risonanza della nuova, adoperava un linguaggio molto più articolato. Un linguaggio che merita attenzione per il diverso modo d’essere formulato e per certe soluzioni verbali che, figlie del loro tempo, possono oggi strapparci un sorriso. Un esempio? Il 19 novembre del 1864 la Corte di Assise di Bari nel condannare tale Francesco Ferrante, un bracciante venticinquenne soprannominato ‘Il figlio di Cinquanni’, ordina che la sentenza venga affissa a Bari e a Gioia del Colle, luogo natale del reo. Il manifesto, precisato che tutto avviene nel nome di Vittorio Emanuele II, Re d’Italia per grazia di Dio e per volontà della Nazione e indicati i componenti della Corte, passa ad elencare i sei capi d’imputazione. Il Ferrante è accusato “di aver fatto parte … di un’associazione di malfattori.. ad oggetto di delinquere contro le persone e le proprietà”, di “ribellione armata”, di “grassazione… val dire depredazione commessa in associazione di malfattori”, di “complicità non necessaria” in omicidi volontari, di “complicità non necessaria in guasti volontari” e “finalmente di omicidio volontario… in associazione di malfattori e senz’altra causa che per impulso di brutale malvagità”. Risultando il Ferrante colpevole dei delitti sopra ascritti, la Corte condanna l’imputato “alla pena de’ lavori forzati a vita, alla perdita de’ dritti (sic) politici, alla interdizione patrimoniale, al ristoro dei danni interessi a pro delle parti lese ed alle spese del procedimento”. Ora, siccome “avverso la suddetta sentenza il condannato produsse ricorso alla Corte di Cassazione la quale con pronunzia del dì 8 novembre 1865 ha rigettato il gravame, la sentenza è divenuta esecutiva”. E’ il caso di precisare che il Ferrante, un ex caporale borbonico, fu uno dei maggiori responsabili della tragica rivolta di Gioia del 28 luglio 1861. Quel giorno la rivolta d’ispirazione dichiaratamente neo-borbonica all’Autorità del Regno d’Italia macchiò di molto sangue la città pugliese e diede il via da noi al fenomeno del cosiddetto brigantaggio politico. Non fosse caduto nelle mani della Guardia Nazionale, il Ferrante non avrebbe potuto che darsi alla macchia per divenire in seguito un altro capobanda. In ogni caso avrebbe rinviato solo di alcuni mesi o di qualche anno la stessa sentenza, se non la fucilazione. Non si hanno notizie successive del Ferrante, né della collocazione del bagno penale dove espiò la pena, questo luogo infernale dove certamente morì.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 23 Gennaio 2015

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