Cultura e Spettacoli

Andare a sporcare Marte

Un certo clamore mediatico si è acceso intorno ad un progetto congiunto che ha fatto da tesi di laurea per cinque neo dottori in Architettura del politecnico barese. ‘Hive Mars è il nome di un sogno : un modulo abitativo da installare su Marte in vista dell’insediamento umano su quel pianeta. E’ da più di mezzo secolo che si parla di colonizzare il pianeta rosso. Il primo a redigere un progetto in proposito fu Wernher von Braun, nel 1952. A quel primo, acerbo disegno fecero seguito progetti via via più definiti : Space Exploration Initiative (1989), Mars Direct (1980), Mars One (2012), Space X (2016)… Arriveremo su Marte ? Si parla di difficoltà tecniche sormontabili solo al prezzo di investimenti dissennati. Cui prodest ? avrebbero commentato i padri latini. Lo stesso interrogativo si pose all’epoca delle missioni Apollo. A parte alcuni innegabili progressi in materia di volo orbitale, permanenza nello spazio, satelliti e stazioni orbitanti, quale utilità ha tratto l’umanità da quell’altro progetto costosissimo e dettato unicamente da interessi propagandistici ? Dal 20 luglio 1969, giorno del primo allunaggio (con buona pace dei negazionisti), fame e inquinamento non hanno fatto che crescere. E ora si parla di ‘terraformare’ Marte, di trasferirvi colonie di eletti retrocedendo una Terra irrecuperabilmente avvelenata a bidonville di masse abbrutite. Riuscire a far muovere sul suolo marziano il Perseverance, il rover della Nasa disceso sul pianeta rosso due settimane fa, è costato 2,7 miliardi di dollari. Una ‘inezia’ a confronto dello sforzo economico necessario a portare il primo uomo su Marte a ripetere la falsità del piccolo passo dell’astronauta e del balzo della comunità a cui egli appartiene. Ben più ragionevole sarebbe dirottare quel fiume di denaro verso il progresso della pace, della medicina e della tecnologia a misura d’uomo. A parte il fatto che ‘colonizzare’ significa inevitabilmente stravolgere. Già infatti  si parla di estrarre metano e ossigeno dall’atmosfera per realizzare sul posto il carburante necessario al viaggio di ritorno, di fertilizzare il suolo per coltivare vegetali eduli, di innalzare ‘scudi’ contro i raggi cosmici e il vento solare, di produrre energia per mezzo di pannelli solari e di reattori nucleari, di mungere le calotte polari per ricavare acqua… Tutto ciò non significa industrie, scorie e inquinamento ? Fare un viaggio di cinquecento milioni di chilometri per esportare su un altro pianeta il peggior modello di progresso messo a punto dall’umanità – modello che la Terra con (non) infinita pazienza patisce dai primordi della rivoluzione industriale  – non è prova di intelligenza.

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 20 Marzo 2021

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