Cultura e Spettacoli

“Arcangelo” e la figura paterna

Un neonato sta male, una famiglia va in ansia. Un padre soprattutto. Diciamo soprattutto perché è intorno alla figura paterna che ruota ‘Arcangelo’, un testo di Franco Ferrante e Michele Bia, interpretato dal primo e diretto dal secondo. Teatro Fava affollatissimo nell’ultimo fine settimana e consensi incondizionati per questo spettacolo che anticipa l’imminente stagione della struttura di via Tagliamento a Modugno. L’affanno del protagonista si annuncia già prima dell’ideale levata del sipario. Un Ferrante agitato si aggira in platea mentre la stessa va riempiendosi ; fa gli onori di casa, accoglie, sorride, s’intrattiene, si concede all’autoscatto in coppia. Però, dietro sorrisi, scherzi e battute si nasconde una malcelata preoccupazione. Si fa tardi, il teatro è pieno, è tempo di cominciare. Sempre più agitato, Ferrante esita ancora, infine si rassegna. Non gli piace raccontare certe cose, esordisce, ma questa è una storia di tutti. E sale sul palcoscenico. Prende così vita ‘Arcangelo’, questo dramma raccontato con leggerezza anche gustosa, almeno fino a quando ha per sfondo una placida, piccola borghesia di provincia. Ma quando poi la storia imbocca il tunnel del dolore, quando cioè il problema di Arcangelo non è più roba di pediatri della mutua, lo sfondo diventa un altro, quello del Policlinico Gemelli di Roma, “questo ospedale troppo grande per un bimbo di tre mesi”. Anche il secondo sfondo è  ideale. C’è nulla in scena, salvo una poltrona rossa su cui ogni tanto l’interprete si posa a rifiatare, proprio alla stregua di un padre sbattuto fra analisi e infermieri, medici e diagnosi, un padre che nemmeno in tanto tumultuoso frangente può dimenticarsi di avere un lavoro, attività irrinunciabile il cui esercizio diviene tormento sotto gli attacchi ripetuti di un pensiero molesto.  Quasi un Trojan, l’idea di Arcangelo tormentato da aghi e sensori legati a macchinari dalle luminescenze e dai bip inquietanti, gli strappa il sonno e l’appetito, gli inquina il pensiero. Non gli impedisce però, varcata la soglia della personale sofferenza (universo ben differente da quella altrui, sempre percepita attraverso il cristallo blindato del non coinvolgimento in prima persona) di scoprire un prossimo ‘altro’, fatto di sodali del dolore e il cui habitat è un inatteso territorio del pensiero dove è possibile purificarsi spiritualmente (ma di qui a consolarsi all’idea che non tutti i mali vengono per nuocere ne passa di strada). Si diceva prima di Trojan. Questo riferimento alle moderne diavolerie della comunicazione è pertinente ad ‘Arcangelo’. Perché il padre di Arcangelo è immerso sino al collo nei network. Lui chatta, twitta, posta, wathsappa e sguazza nei ‘mi piace’. Il gesto del digitare su una tastiera o su uno schermo a cristalli liquidi è ricorrente in questo lavoro. In quel gesto, un po’ nevrotico, è percepibile tutta l’improduttività di un comunicare massiccio. Perché se ad onta di centomila contatti si resta (quasi) soli anche quando il vento spira a favore, figurarsi quando Eolo si volta contro… Per fortuna esistono le eccezioni, gli amici fedeli, gli incontri felici, insomma quanto basta a ritrovare la forza, a non smettere la speranza o comunque a patire con dignità socratica “gli insulti di una sorte oltraggiosa”. Non resta che sperare e attendere. In qualche modo, c’è sempre un’altra nottata che deve passare (dopo Shakespeare ci può stare De Filippo). Con mano leggera, quasi un suggerimento sussurrato a fior di quinta,  Michele Bia dirige un Franco Ferrante emozionato ed emozionante. Così, ‘Arcangelo’ tocca. – Luci di Roberto Colabufo ; produzione Teatroscalo.

 

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 5 Novembre 2015

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio