Cultura e Spettacoli

Dal ventre della terra all’immensità di un cielo capovolto

L'Angelo di fuoco con la regia di Emma Dante andato in scena al Petruzzelli

Seminuda, scomposta nell’ oscurità delle sue percezioni alienanti e terrorizzata da una visione. Ecco come appare Renata al primo incontro con Ruprecht, una femmina a cui la visione maschile già cerca di dare delle coordinate, senza però mai riuscirvi a pieno. L’Angelo di Fuoco ci racconta la storia del tutto umana, per quanto immaginaria e fantastica possa sembrare, di una donna alle prese con le sue inquietudini interiori, con la sua difficoltà a relazionarsi con un mondo maschile, e con la sua inumana logica opportunistica di presunta spiritualità. È in un mondo di fantasmi, di catacombe, di carne putrefatta, di anarchia e di passionalità sfrenata che si dipana la storia di quest’opera, che trovò il meritato successo solo dopo la morte del suo autore. In scena lo scorso mercoledì la prima dell’Angelo di fuoco di Prokof’ev, al Teatro Petruzzelli, con la regia di Emma Dante. Nei panni di Renata la soprano Ángeles Blancas Gulín, con i costumi straordinari di Vanessa Sannino. Un’interpretazione che ci ha stupiti per la sua coralità disarmante, il potente dinamismo scenico e le vibrazioni di alterità che ci ha trasmesso. Dal punto di vista della partitura sono impressionanti, per esempio, il modo in cui la musica rappresenta la scena dei colpi battuti dagli spiriti, nel secondo atto, o le sfaccettature melodiche che scandiscono in maniera potente tutta la scena dell’esorcismo del quinto atto. Davvero interessante notare quanto i corpi dei ballerini, nella loro forsennata mímesis, rispecchino le battaglie e il travaglio interiore della protagonista, di contro, la proiezione negativa del suo essere nel mondo è data sempre attraverso il giudizio maschile. A partire dallo stesso Angelo Madiel, da lei venerato, che non riesce ad essere identificato con precisione, né nel bene né nel male. È come se la parte maschile di Renata, in qualche modo inconsciamente, riconoscesse l’ambiguità e l’inconsistenza di un pregiudizio imperante, ribellandosi senza avere ancora gli strumenti necessari per poter comprendere, a livello profondo, l’essenza vera della sua umanità. È il viaggio della coscienza verso la sua auto consapevolezza. Meravigliosa l’idea di rappresentare l’angelo come ballerino di breakdance, che danza con le braccia, compiendo evoluzioni a gambe sollevate, come se il suo cielo fosse appunto la terra, cosa, inaspettatamente, e ancora, del tutto umana. Ma anche l’idea di crearne una specie di ‘doppio fisico’ ( un altro danzatore dal diverso colore di costume), e la rappresentazione della stupida  imbalsamata adorazione degli umani nei suoi confronti, che si esplica nei gesti scomposti, ma sempre calibrati nelle loro sfumature di senso e pregni di significato simbolico, delle  movenze delle monache. Così come anche molto arguta l’idea di introdurre alcuni atti con una sorta di silenziosa anticipazione rappresentata da scene rituali che scorrono davanti al sipario, o scenette che sembrano improvvisate, per dare l’idea, a livello emozionale più che razionale, di quello a cui lo spettatore sta per assistere. Nel primo quadro dell’atto secondo Renata consulta un libro di magia, mentre Ruprecht si lamenta per le infruttuose ricerche volte a ritrovare il conte Heinrich, lei evoca spiriti demoniaci nella speranza di scoprire dove si trovi l’amato, così assistiamo alla meravigliosa coralità in un continuo affascinante dinamismo, che permea ogni scena dell’opera, nell’ intento di rappresentare ciò che non è rappresentabile, ovvero sondare il confine tra il bene e il male per poi scoprire che sono solo facce ‘ del tutto umane’  di una stessa medaglia. La regia della geniale Emma Dante forse ci insegna e suggerisce che cercare di spiegare è inutile, forse dovremmo unicamente rispettare, perché la non accettazione di queste istanze può condurre alla follia, alla fissitá di una sterile venerazione, e alla morte. Quello di Renata è infatti una specie di martirio mistico, che la trasforma in una madonna trafitta da sette spade con l’angelo morto ai suoi piedi, in un esorcismo simbolico che la libera dal diavolo/angelo amato e temuto allo stesso tempo, come dall’ idea distorta di tutte quelle parti di sé che non è riuscita a integrare in una visione univoca che la rendesse accettabile nel mondo razionale. Tutto ciò che non è riuscita mai a comprendere ha fatto di lei un’icona.

Rossella Cea


Pubblicato il 19 Aprile 2024

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