Cultura e Spettacoli

“Fascismo, stato sociale o dittatura?”

 

La Carta del Lavoro, lo Stato Corporativo, la Previdenza: in una parola lo Stato Sociale. Correva l’anno 1927… E’ questo il tema principale del quale si parlerà domani a Bari (Hotel Palace, ore 18.00) alla presentazione del libro di Martina Mussolini ( figlia di Guido e quindi nipote di Vittorio Mussolini, primogenito di Benito) scritto in collaborazione con Edoardo Fantini e Andrea Piazzesi. Un aspetto poco conosciuto della nostra storia ma di fondamentale importanza per comprendere quando e come furono poste le fondamenta della giustizia sociale e di quelli che oggi vengono comunemente definiti i ‘diritti dei lavoratori’. Il Fascismo, che la storiografia ufficiale definisce: <>, nel libro viene analizzato scientificamente attraverso le sue leggi ed i suoi provvedimenti a carattere sociale ed economico. Gli stessi che tutt’oggi resistono, per certi versi, allo scempio del diritto del lavoro (e dei lavoratori) attuato dalle leggi dei governi liberali contemporanei. Al lettore viene quindi proposto un altro punto di vista di quel periodo storico, appartenuto all’Italia (che ci piaccia oppure no) del quale ufficialmente si continua a parlare ancora in maniera faziosa e pretestuosa, affinché la verità possa finalmente essere patrimonio di tutti e non solo di una ristretta cerchia di studiosi e ricercatori. Nella prima parte del libro (1914-1924) viene inquadrato storicamente il periodo nel quale prese forma la trasformazione dell’Italia liberale dell’epoca: dall’Internazionale Socialista alla Grande Guerra,  proseguendo poi con la spiegazione delle differenze tra i principi liberali, socialisti e fascisti.<>. Così parlò Benito Mussolini durante il suo primo discorso presidenziale alla Camera dei Deputati, ed in questa breve affermazione risiede l’essenza della ‘Rivoluzione Fascista’, avanguardia in un periodo storico colpito dall’instabilità politica e da una profonda arretratezza generale di tutto il Paese. La seconda parte del libro (1926-1927) è incentrata proprio sulla Carta del Lavoro, senza dubbio, il documento più importante di tutto il ventennio: per la prima volta nella storia dei sistemi produttivi nazionali, i datori di lavoro furono costretti a tenere in considerazione le esigenze dei lavoratori nel regolare i loro reciproci rapporti. Le numerose dichiarazioni in essa contenute, una volta attuate, fecero dell’Italia uno Stato innovatore dal punto di vista delle garanzie economiche e sociali offerte a tutti i suoi cittadini (tra queste ricordiamo: la Previdenza e assistenza sociale, l’istruzione tecnico-professionale per operai e contadini, l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, l’orario di lavoro (8 ore), la retribuzione adeguata (e i contratti collettivi), gli assegni familiari, le ferie, il lavoro femminile, l’Opera Nazionale: Dopolavoro, Balilla, Maternità ed Infanzia…). Con la Legge Sindacale n.563 del 1926 e la Carta del Lavoro (1927), in soli otto anni, venne quindi abbattuto il sistema economico liberale e superato quello socialista, prima con l’associazionismo fra lavoratori ed il sindacalismo al centro dello Stato, poi col successivo sistema Corporativo. La fondamentale differenza tra i tre sistemi economici, in sintesi, consisteva nel fatto che mentre il sistema liberale, d’ispirazione borghese, basato sul trinomio ‘libertà, fraternità, uguaglianza’ permetteva pericolosamente lo sviluppo delle individualità in ogni settore, senza limitazioni di sorta, per accrescere i propri interessi e la propria ricchezza dividendo la società in ricchi e poveri; quello socialista, in totale contrapposizione al primo, era incentrato sulla ‘lotta di classe’ che avrebbe portato quindi all’eliminazione di una intera categoria economico-sociale (quella capitalista) attraverso la rivolta violenta per instaurare la dittatura del proletariato. Mussolini, invece, pur mantenendo la sua ispirazione socialista era convinto che bisognava superare il concetto di lotta di classe e creare un sistema nel quale le forze produttive (imprenditori ed operai) essendo in egual modo necessari alla produzione, non dovessero più vivere come irriducibili avversari, bensì come collaboranti. Segue, quindi, la terza parte del libro (1930-1934): dal trinomio ‘autorità, ordine e giustizia’ nacque lo Stato Corporativo e la possibilità per le istituzioni di intervenire nel settore economico del Paese. L’azione dello Stato, si sarebbe attuata nell’organizzare e disciplinare il lavoro ponendo precise indicazioni sulle strategie di mercato, ottimizzando la produzione nazionale, contenendo i rischi di fallimento delle imprese e consentendo il massimo dell’occupazione dei cittadini. Grazie a questo sistema, man mano che l’economia e le risorse del Paese crescevano, si poté procedere con la costruzione di numerose Opere Pubbliche (scuole, ospedali, acquedotti, case popolari, bonifiche, fondazioni di nuove città, creazioni di nuovi poli industriali…). A testimonianza di ciò, il volume, frutto di oltre sei anni di studio e ricerca, si conclude con uno speciale dedicato alle opere e ai documenti (provenienti dalla collezione privata degli autori), cosi che gli italiani e, soprattutto, le nuove generazioni, siano libere di giudicare come realmente andarono i fatti.

 

Maria Giovanna Depalma


Pubblicato il 23 Settembre 2016

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