Cultura e Spettacoli

Il Generale non capì il Sergente

L’8 dicembre 1861, a Tagliacozzo, vicino l’Aquila, cadeva fucilato José Borjes, un generale spagnolo che agenti del deposto Francesco II avevano contattato all’indomani della caduta del Regno delle Due Sicilie per coordinare nel Mezzogiorno la rivolta borbonica. Fu il suo un tentativo breve (meno di tre mesi) e male organizzato. Dopo un avvio disastroso, le cose sembrarono prendere una piega favorevole a ottobre, quando Borjes riuscì a stringere un accordo con Crocco. In base a tale accordo il celebre ribelle lucano doveva fare della sua nutrita banda un esercito regolare, che il Borbone dal suo esilio romano avrebbe finanziato lautamente. La collaborazione finì prestissimo. Insofferente alla disciplina imposta da Borjes e dubbioso dopo alcuni rovesci del talento strategico del generale spagnolo, Crocco abbandonò Borjes a Lagopesole. Deluso, quest’ultimo decise di raggiungere Roma con i pochi fidi rimasti (appena ventidue uomini) e ricevere da Francesco II nuove disposizioni. Una mossa prevedibile. Caduto in una trappola tesagli da bersaglieri sabaudi, Borjes dovette arrendersi. Il resto è noto. Avesse invece fatto rotta verso sud e cercato rifugio in Puglia, forse avrebbe salvato la pelle e offerto un’occasione d’oro ad un altro legittimista, ma di pasta ben diversa da quella di cui Crocco era fatto. Il Sergente Romano, nativo di Gioia del Colle, era allora agli inizi della sua lunga avventura. Pur a capo di una banda di cui scellerati e opportunisti costituivano purtroppo la maggioranza, l’ex sottufficiale borbonico era riuscito con metodo e disciplina militare ad ottenere il massimo rendimento dai pochi uomini disponibili (all’apice della parabola personale giunse a comandare non più di centottanta uomini). Crocco arrivò a comandare più di mille uomini, eppure volle sempre evitare il colpo grosso, per esempio attaccare Potenza e di lì sollevare l’intera Basilicata. Non volle farlo perché la politica gli tornava comoda per bassi interessi personali. Al contrario, Pasquale Domenico Romano, era un idealista. Come tale si giocò tutto e cadde combattendo fino all’ultimo. Crocco invece, malgrado una settantina dì capi d’imputazione per omicidio riuscì a scansare il plotone d’esecuzione e a morire nel letto della sua cella. Accomunati da un senso innato della lealtà e dal culto della disciplina militare, Borjes e Romano si sarebbero intesi subito. Ciò avrebbe procurato al Romano fondi con cui quei centottanta uomini si sarebbe moltiplicati per dieci in poco tempo. Forse allora l’insurrezione di tutto il Meridione contro l’usurpatore piemontese tanto auspicata e foraggiata da Francesco II avrebbe avuto luogo e adesso staremmo a scrivere un’altra storia. Ma non andò così. Forse Borjes, troppo deluso dalla gente incontrata (anche prima di entrare in contatto con  Crocco) non fiutò il talento del Romano, accumunandone la figura agli altri capibanda conosciuti, figure per lo più violente e indisciplinate, uomini venali e dall’orizzonte limitato. – Nell’immagine, una stampa d’epoca di José Borjes.

 

 

Italo Interesse


Pubblicato il 23 Settembre 2016

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