Cronaca

Fitodepurazione : oltre gli interessi dell’ortofrutta

Il 10 luglio 1976 una nube di diossina fuoriuscita dall’Icmesa di Meda investiva l’abitato di Seveso inquinandolo pesantemente. Impreparata a fronteggiare tanta emergenza, l’Autorità sanitaria girò a vuoto per un pezzo. Vennero prese in considerazione parecchie idee, alcune delle quali avveniristiche per quei tempi. La più audace e innovativa considerava di bagnare l’area contaminata con olio d’oliva. Dalla Puglia dovevano partire per la Brianza centinaia di carri-cisterna carichi della nostra preziosa risorsa. Poi non se ne fece più niente e prevalse l’idea di demolire l’area più colpita dell’abitato e rimuovere il primo strato di terreno ;  in seguito quelle macerie e quel terriccio, insieme ai macchinari utilizzati per la demolizione e gli scavi, furono ‘conferiti’ dentro due enormi vasche artificiali, al di sopra delle quali oggi sorge il Parco Naturale Bosco delle Querce. Forse la soluzione  dell’olio d’oliva non era la migliore, il fatto tuttavia d’averla presa in considerazione segnala in Italia il primo passo di una corrente di pensiero oggi egemone e che contrasta l’inquinamento del terreno col ricorso alla natura piuttosto che alla chimica. Il biorisanamento utilizza microrganismi naturali o ricombinati che abbattono le sostanze tossiche attraverso processi aerobici e anaerobici e le ‘degradano’ in sostanze innocue come anidride carbonica e acqua. Per esempio, alcuni batteri geneticamente modificati riescono a smaltire il toluene e il mercurio presenti nei rifiuti nucleari. Alcuni funghi danno buoni risultati nella degradazione di gas nervini… C’è poi il fitorisanamento che utilizza piante terrestri o acquatiche.  L’Amaranthus retroflexus è in grado di immagazzinare l’isotopo radioattivo cesio-137, mentre la Thlaspi caerulescens è in grado di immagazzinare zinco e cadmio… Tre giorni fa, a Brindisi, in un’area inquinatissima di 27 ettari a metà strada tra la centrale di Cerano e il polo petrolchimico è stata piantata la canapa, una specie vegetale dall’elevato potere fitobonificante. Si pensa di utilizzare la canapa prodotta nel settore edile e tessile. Dovesse funzionare, rispunterebbe il sole sui tanti terreni agricoli pugliesi danneggiati dall’eccessiva vicinanza ai grandi stabilimenti industriali. Con la canapa o altra coltura si può pensare di risollevare l’agricoltura nelle immediate vicinanze dell’Ilva a Taranto o dell’ex Enichem a Manfredonia. Se l’ortofrutta non rende più in una Puglia sempre più ‘sporca’, l’alternativa fibre vegetali è l’ultima chance per agricoltori demotivati e rassegnati a piegarsi al ricatto dei signori del mattone. Ma a parte gli interessi dell’ortofrutta, il biorisanamento si pone come rimedio (conclusivo) ai tanti terreni di casa nostra dove la malavita organizzata ha sepolto rifiuti tossici. Ci sono poi le campagne in abbandono ai margini dei grandi centri e di fatto ridotte a discariche abusive, a Bari c’è l’area della Fibronit… La Puglia meno fortunata può aspettarsi molto dalla fitodepurazione.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 16 Maggio 2014

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