Cultura e Spettacoli

Il Bagno Penale di Brindisi

Oggi un po’ dappertutto le carceri sono sovraffollate. In compenso, il trattamento dei detenuti è umano (salvo eccezioni). Lo stesso non poteva dirsi in passato, quando i carcerati marcivano in catene nelle segrete dei manieri, patendo maltrattamenti, denutrizione e malattie contagiose con un tasso di mortalità altissimo. C’era qualcosa di peggio del carcere ? Ebbene sì, il ‘bagno penale’. Con questo nome si indicavano quegli stabilimenti il cui regime prevedeva la presenza all’aperto dei detenuti per un terzo della giornata. Non si trattava però dell’ora dell’aria ‘allargata’. Per otto ore al giorno (ad eccezione della domenica) quegli infelici erano destinati a lavori pesanti nelle immediate vicinanze del luogo di detenzione. Per cui, i bagni (anche colonie) penali erano localizzati dove il lavoro svolto dai forzati risultava vantaggioso per le economie locali, ad esempio vicino a cave di pietra o a porti bisognosi di regolari lavoro di dragaggio. Proprio quest’ultimo era il caso di Brindisi, la cui area portuale, almeno una volta, era esposta al fenomeno dell’impaludamento. A tale scopo, nell’Ottocento, si decise di adattare a bagno penale il Castello Alfonsino, che nel frattempo era stato radiato dal novero delle fortezze del Regno ; sorte, questa, comune  a quasi tutti i manieri europei, strutture difensive che avevano perso significato dinanzi al vertiginoso progredire delle artiglierie. L’adattamento avvenne a costo di “devastanti manomissioni” architettoniche – a cui neanche oggi si è potuto porre riparo – come si legge in un rapporto dell’allora Intendente di Giustizia. La decisione fu di Gioacchino Murat, il quale, dopo aver istituito quel Bagno, volle andarlo a visitarlo nel 1813, in occasione del suo viaggio nelle Puglie (nella stessa circostanza, il 25 aprile, posò la prima pietra della Bari Nuova). Per aggiornare i sudditi sullo svolgersi del viaggio i quotidiani del tempo pubblicarono periodicamente lettere spedite da un personaggio del seguito. Queste lettere, a metà strada fra la cronaca e il diario di viaggio, partirono dalle principali mete. Una di queste fu Brindisi. Nel relativo resoconto si legge quanto: “Il nuovo bagno che vi si costruisce per contenere circa duemila forzati, è uno dei più belli stabilimenti di questo genere… tali forzati saranno impiegati all’opera e agli altri lavori da porto, non meno che al disseccamento delle paludi”. Nonostante fosse ‘uno dei più belli’, il bagno brindisino era un inferno : fra stenti e tormenti disciplinari e guasti da promiscuità vi si moriva più che altrove ; i morti venivano interrarti nel fossato del castello senza diritto a una lapide. L’infelice struttura, che rimase attiva sino al 1908, ospitava un numero ragguardevole di galeotti : quel numero era di 250 unità nel 1835 ; nel 1889 i forzati salirono ad oltre ottocento. In un secolo di ‘onorato servizio’ il bagno penale brindisino non ebbe a lamentare neanche un’evasione. Eppure nell’inverno del 1882 questo ‘stabilimento’ fu al centro di un clamoroso disegno eversivo dietro cui c’era Pasquale Romano da Gioia del Colle, la figura più nobile del panorama legittimista. Nel momento di più prospero successo (l’invasione di Carovigno del 21 novembre 1862), l’ex Sergente borbonico spedì messi a Crocco per proporgli di unire le forze e muovere su Brindisi. Lì una formazione di quasi mille uomini doveva dare l’assalto al bagno, liberarne i forzati e arruolarli. Rinforzata da forse un cinquecento elementi a corto di scrupoli, smaniosi di liberta, di preda e riscatto, il cosiddetto Esercito di Liberazione avrebbe raccolto il popolo e innescato la controrivoluzione. Senonché – scrive Antonio Lucarelli – Carmine Crocco, cui la politica serviva di pretesto ad accumular quattrini, dapprima chiese alcuni giorni di tempo per una definitiva risposta, poi, adducendo futili motivi “dichiarò senz’altro di non poter assecondare l’iniziativa del temerario collega”. Il resto è storia documentata: il Sergente non si perse d’animo, arruolò altri uomini, forse nell’idea di riuscire nell’audacissimo piano con le forze di cui disponeva. Ma la disfatta patita alla Masseria dei Monaci di San Domenico tra Noci e Alberobello (preludio alla definitiva sconfitta in quel di Bosco di Vallata nel gioiese) rese inattuabile il già chimerico piano.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 9 Febbraio 2022

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