Cultura e Spettacoli

Il massacro di Reso e compagni

Nella nostra Pinacoteca Metropolitana sono conservate alcune opere di un importante pittore pugliese, Corrado Giaquinto (Molfetta 8 febbraio 1703 – Napoli 18 aprile 1765), del quale ricorre oggi il 315° anniversario della nascita. Le tele dell’artista molfettese sono tre : ‘Natività del Battista’, ‘San Nicola salva i naufraghi’ e ‘Ulisse e Diomede nella tenda di Reso’. Quest’ultimo dipinto ritrae l’episodio dell’Iliade raccontato nel Libro X in cui i due eroi greci effettuano un’audace incursione notturna nell’accampamento dei Traci (alleati dei troiani) facendo strage. Tredici sono i morti, l’ultimo dei quali è il re, Reso. Ma la fonte letteraria a cui Giaquinto attinge non è l’opera di Omero bensì la tragedia ‘Reso’, attribuita ad Euripide. A indicarlo è un indizio sicuro :  a sinistra in basso, presso il letto a baldacchino in cui è coricato Reso, presentato come un giovane seminudo, si trova un uomo aitante e con folti capelli corvini, più o meno suo coetaneo, in tenuta militare, che dorme assiso su un seggio tenendo le briglie in mano; si tratta dell’auriga di Reso, personaggio che appunto appare soltanto nel testo tragico, nel quale è l’unico a scansare la morte uscendo solo ferito dall’azione devastante di Diomede e Ulisse. Nella tenda sono presenti anche altri due guerrieri traci, ugualmente dormienti: uno in basso a destra, armato di lancia e seduto a terra, l’altro più indietro, appoggiato alle cortine. Anziché immortalare l’eccidio vero e proprio, Giaquinto ‘ferma’ il momento precedente la carneficina : I due eroi sembrano esitanti, in qualche modo increduli che i loro nemici non abbiano preso alcuna cautela, esponendosi inermi all’imminente morte. Opera di gusto tipicamente neoclassico, la tela non trasmette alcunché di drammatico, per quanto l’efferatissimo soggetto lo suggerirebbe. L’ombra della morte latita. La pittura sembra la riproduzione di un momento di un possibile allestimento del ‘Reso’, opera che si più immaginare portata in scena tra sospiri, mollezze, ambiguità e acuti d’evirati cantori. Tutt’altra tensione, invece, presenta lo stesso tema nella riproduzione presente su un vaso funerario dell’era classica rinvenuto a Ruvo e realizzata da un pittore rimasto ignoto (vedi immagine). Qui, dove invece l’eccidio ha già avuto luogo, il contorcimento dei corpi pugnalati ha sì del plastico ma non del languido. L’odore del sangue è percepibile. In una parola, la scena non è falsa, perciò cattura, seduce. Tanto basta a segnalare l’abisso fra la dimensione autentica dell’era classica e quella artificiosa dei giorni del post-barocco in cui si pretese di risvegliare lo spirito degli antenati con un approccio pigro e non più che epidermico.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 8 Febbraio 2020

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