Cultura e Spettacoli

Il poeta bitontino Gaetano Avena in… “Un solo giorno”

Accade in “Un solo giorno”, nel lene turbinio del crepuscolo, in cui, molli, danzano gli affanni della luce. Ed è come ritrovarsi, leggendo, in un territorio franco, enclave di ombre immemori nel balenio della contemporaneità. Nella sua raccolta di liriche, Gaetano Avena, poeta bitontino ottuagenario, mantiene fermo il suo impegno coi lettori: la poesia, quale medium e prova sperimentale della duplice verità, di un doppio gioco di imminenze e dilazioni, in cui sistemare, possibilmente in pareggio, la contabilità dei sentimenti morali. Ecco la poesia del Nostro: tenda sotto cui ripararsi e agone di parole battagliere. Non si può pianificare di leggere Gaetano Avena, come per trovarvi delle conferme di formule tradizionali: si deve capitare lì, tra i suoi versi, per caso.

Avena, poeta consumato ma per fortuna non “sciupato” dall’applauso del pubblico, ripropone in “Un solo giorno” l’arguzia propria dei suoi versi, espliciti ed ascosi al tempo stesso: i soggetti non emergono mai, essi rimangono in una debita penombra di echi e latitanze, le loro fattezze essendo contorni intimistici che sopravvivono alle vicende stesse.

In “O la sua ombra” i ricordi s’intimidiscono, la melanconia veleggia su note tutto fuorché tristi, rose e glicini sono appena sensazioni, e la notte è notte solo se riposta nelle sue indefinite pieghe. Tutto è avvolto in un perentorio silenzio.

Quest’ineffabilità è ovunque nel testo. In “Ingiallire”, per esempio, in cui la foglia si nutre di riverberi, di stanchi fruscii, per restare aggrappata al vento; o in “La sensualità”, in cui le vite sono tanto piccole, briciole insulse, scientemente poste al cospetto di nuovi infiniti.

In “La pretesa” (quale pretesa, poi? “Il mio pensiero non sono io”, vi si dice en avance), passato e presente sono luoghi, la scena di un volo a ritroso, di uno sguardo all’indietro, con un ideale specchietto retrovisore, fino a giungere ad un incrocio subitaneo (“…di repentina corsa, a forma di Croce, …”) che sembra alludere ad un incontro nuovo, forse un’involontaria concessione dell’autore alla trascendenza.

E in “Il piacere” non si possono non sentire il mare silenzioso, l’azzurro paterno e l’àuspice Luna; così come in “Tesse” si avverte la tensione invisibile alla primavera, come ad un nuovo, molto più che leopardiano infinito.

In Gaetano Avena, dunque, la vera seduzione del testo è nell’impossibilità di darvi un senso univoco, di poter sciogliere un qualsiasi enigma psicologico, di ascoltare una voce o un sentimento che non siano non screziati dalla fabulazione, a tratti volutamente grottesca e ossimorica.

Le immagini della sua poesia sono “fisiche” a patto di essere intangibili: orme di mattutina lirica in “Con attese”, nebbia e vanire della luna antica in “Il dondolare”, brezze e gesti di futura memoria in “Di lontano”, in cui si vagheggia di Fughe d’eterno; ali che producono un’eco, e rugiada che si dìsfa in “L’eco d’ali” e in “A commento”. Questo discioglimento della realtà tangibile ricorre spesso nei versi della raccolta, in un continuo screziarsi di ombre e luci che dice di un esistenzialismo non sempre tenuto a bada dal poeta, e, anzi, sovente utilizzato quale suo stile investigativo. Da quest’orlo “narrativo”, la sola evasione consentita è il ricordo o l’intermittenza onirica, che aggiungono vieppiù fascinazione al capitolato metrico, con un dono, un’elezione: raccontare la greve esistenza con serenità d’immaginazione: siamo ben oltre l’etica e la stilistica. Avena andrebbe letto non in chiave critica (Ermetismo? Realismo?) e senza vizi retorici o inframmettenze ideologiche. Lo si legge, in “Un solo giorno”, per trarsi fuori dalla contingenza e dalle relative, e pleonastiche, spiegazioni; e per staccarsi dalla poetica della Storia, e dai suoi schemi sempre largamente insoddisfacenti. Da questo fondo emerge allora il testo di Avena, che attinge alla fonte del “quotidiano” per approntarne un’onorevole via di fuga, oltre ogni religione, e ogni romanticismo. Ecco, allora, Avena: una continua sorpresa, una tensione di momento lirico e trascendenza. Ma è inutile disporsi al giochino dei chiaroscuri, e ingaggiare la disputa se sia l’ispirazione o il lavoro di scavo a fare aggio sul suo elaboratissimo artigianato poetico. In fondo, stilizzare il verso è il modo migliore per un poeta per restare agganciato ad una realtà di cui porta le stimmate, con l’ambizione mai doma di poterla, in qualche modo, superare…

 

Felice de Sario

 

 


Pubblicato il 4 Febbraio 2020

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio