Cultura e Spettacoli

La poesia, scorciatoia verso l’Infinito

Dopo 107 libri pubblicati, frutto di oltre mezzo secolo consacrato alla poesia, Daniele Giancane si ferma a rifiatare. Lo fa a modo suo, affidando a Genesi Editrice il personale ‘diario poetico’. Fratto in trentanove agili e godibilissimi capitoli, ‘Cielo e Terra’ è riflessione profonda, eppure esternata con leggerezza, sul significato della poesia, sulla funzione del poeta, sul rapporto che lega il verso all’autore. Giancane, che qui coglie anche il destro per raccontarsi regalando anche qualche amenità, prova a tirare le somme : La poesia è un culto libero, che non abbisogna di ministri, di templi e sacri testi. E’ un grimaldello migliore della più sottile filosofia per evadere dalla gabbia del pensiero. E’ strumento di formazione, viatico d’illuminazione, un farmaco salvavita, una porta che si apre su mondi paralleli… In definitiva, una scorciatoia per l’Infinito. Ciò la rende inattaccabile. Perché la poesia non dà pane e tanto meno regala il suo migliore surrogato : la gloria. Chiama invece il suo devoto al salto di qualità spirituale, ovvero al sacrificio della rinuncia e della coerenza. Cosa che equivale a farsi arieti della Verità. Non di meno la Verità tende a sfuggire e ciò rende la posizione del poeta particolarmente precaria : “Si sta sulla corda, sospesi, come i funamboli – scrive Giancane omaggiando i fanti d’Ungaretti – ma dobbiamo vivere e non si può farlo ininterrottamente nel dubbio operativo”. Per scansare lo stallo “occorrono simil-verità. E così bisogna darsi delle certezze e operare (infaticabilmente, stoicamente) per esse e al contempo avere un costante retro-pensiero che ci dice che, in fondo, si tratta di illusioni”. Con scettico pragmatismo, Daniele Giancane quadra il cerchio e traccia un sostenibile percorso di vita. Un bel risultato per un poeta, figura che un radicato stereotipo vuole avulsa dal reale, inconcludente e illusa, ferma all’età dei sogni, sottilmente infingarda, in qualche modo astuta, perciò tutto sommato esecrabile. Alto nel suo limbo, posto fra ‘Cielo e Terra’, il poeta invece scorge la miseria umana meglio di qualunque benpensante dai piedi ‘ben piantati per terra’. Non può allora che volgere lo sguardo al di sopra di sé e, ove ‘eletto’, illuminarsi d’immenso. Il che non equivale a toccare lo Zen (nel quale si ‘permane’). Perché la poesia è solo una “rappresentazione  del grande mistero dell’esistere. Il compito del poeta non è svelare il segreto ma di alludervi… La vita non può essere pienamente spiegata con gli algoritmi della Scienza, né con le teorizzazioni della filosofia. Meno che mai con le analisi della psicologia o con pure speculazioni sociologiche. Solo la poesia può  attingere a quel segreto, sia pure per un attimo”.

Italo Interesse


Pubblicato il 4 Maggio 2016

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