Cronaca

L’arcipelago verde intorno a Bari

Si calcola che ogni giorno in Italia sparisca un chilometro quadro di campagna sacrificato alla protervia di asfalto e cemento. Ma il danno si rivela ancora più grave considerando il degrado delle campagne che circondano i centri abitati. Appena fiutano odore di espansione edilizia, i proprietari della terra abbandonano zappa e falce e ingaggiano il braccio di ferro della contrattazione con i signori del mattone. Nel frattempo i campi languiscono. Le erbacce invadono tratturi e superfici coltivabili, le piante si riempiono di polloni, le costruzioni vengono tappezzate dai rampicanti e le recinzioni crollano, si arrugginiscono, a beneficio dei vandali e dei nemici dell’ambiente. L’espansione edilizia non avviene a macchia d’olio, procedendo a tentacoli lascia dietro sé sacche che diventano presto terra di nessuno. Ma queste oasi silenziose conservano il pregio di raccontare, per chi sa disporsi ad un ascolto ‘altro’, il mondo che fu. Pur segnate pesantemente dall’abbandono, mantengono sotto la crosta dell’incuria tracce di una bellezza anche struggente. Alla periferia di Carbonara, per esempio, appena oltre il ponticello che supera la ferrovia all’altezza della stazioncina si allarga un ettaro di terreno soffocato da fabbricati. Oltre un cancello così malandato che basterebbe un calcio ad abbatterlo, si intravede – coperta dal muschio – una carrareccia che dopo pochi metri inizia a descrivere una curva a sinistra. A meno di violare ciò che comunque resta proprietà privata, non è dato sapere dove il viottolo conduce, dal momento che esso svanisce oltre filari di piante non potate da forse vent’anni e perciò ridotte a cespugli fittissimi. Cosa si nasconde in fondo a quella stradina? Forse una semplice ‘lamia’, una di quelle casette rustiche in pietra a secco e dalla volta a botte che, dopo essere state ‘alleggerite’ di ogni asportabile segno di civiltà contadina, vengono sommerse dall’edera. Nell’erba del piccolo prato che si stende a sinistra si riconoscono, sfatti dagli agenti atmosferici, resti di lavatrici, sedie, materassi. Dai rami pendono buste di plastica e stracci portati dal vento. Un’altra piccola discarica di fatto. Eppure sotto la patina lercia dorme un tesoro tra flora e fauna.  Ai confini di quell’isola ostinata rovi contendono lo spazio ad altrettanto minacciosi grovigli di fico d’india. Lo spinoso intreccio fa da barriera naturale, vulnerabile finché si vuole dinanzi allo strapotere di un decespugliatore, eppure indice di una Natura paziente e inesorabile nel riprendersi i suoi spazi. Randagi e gazze sono le uniche presenza all’interno di questa ‘riserva’ che la gente, a piedi o in bicicletta, sfiora distrattamente ; qualcuno storce il naso vedendovi il neo piuttosto che l’oasi. Respireranno tutti di sollievo il giorno che ruspe inarrestabili verranno a ‘fare giustizia’, a portare il progresso e la civiltà. E sarà un condominio in più, un altro di quei palazzoni anonimi e senza storia. A rimpiangere quel pugno di terra innocente saranno pettirossi, gechi e innocue bisce. Andranno a cercare scampo  altrove con la stessa morte nel cuore con cui i ragazzi di via Paal devono abbandonare il loro habitat ludico, uno spiazzo alla periferia di Budapest tanto tenacemente difeso dalle mire espansionistiche dei rivali (le Camicie Rosse), quando sullo stesso spiazzo il proprietario decide di elevarvi un fabbricato.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 5 Gennaio 2013

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