Cultura e Spettacoli

L’infelice ‘stabilimento’ di Brindisi

Nell’aprile del 1813 Gioacchino Murat, allora Re di Napoli, volle visitare le Puglie, come allora si diceva. Per aggiornare i sudditi sullo svolgersi del viaggio i quotidiani del tempo pubblicarono periodicamente lettere spedite da un personaggio del seguito. Queste lettere, a metà strada fra la cronaca e il diario di viaggio, partirono dalle principali mete. Una di queste fu Brindisi. Nel relativo resoconto si legge quanto: “Il nuovo bagno che vi si costruisce per contenere circa duemila forzati, è uno dei più belli stabilimenti di questo genere… tali forzati saranno impiegati all’opera e agli altri lavori da porto, non meno che al disseccamento delle paludi”. I bagni penali erano ‘stabilimenti’ che si distinguevano dalle comuni prigioni per il fatto che chi vi era rinchiuso era costretto ai lavori forzati. In genere le colonie penali erano localizzate dove il lavoro svolto dai forzati risultava molto vantaggioso per le economie locali. E difatti la fatica dei forzati a Brindisi era indirizzata alla costante bonifica del porto di quella città, storicamente esposto al fenomeno dell’impaludamento. Quanti disgraziati erano rinchiusi in quello  ‘stabilimento’? Premesso che l’infelice struttura occupava gli ambienti del Castello Svevo (a tale scopo utilizzato sino al 1908, anno in cui – dal Ministero di Grazia e Giustizia – il maniero passò alla Marina militare) il numero di galeotti assommava nel 1835 a 250 unità, numero che nel 1889 salì ad oltre ottocento. Nonostante fosse ‘uno dei più belli di questo genere’, il bagno brindisino era un inferno : fra stenti e tormenti disciplinari vi si moriva prima del tempo e i morti venivano interrarti nel fossato senza diritto ad una lapide. Da qualche parte abbiamo letto che nel 1862 questo ‘stabilimento’ fu al centro di un clamoroso disegno eversivo dietro cui c’era Pasquale Romano da Gioia del Colle, personaggio del panorama legittimista secondo per importanza solo a Carmine Crocco, il più seguito e temuto capobanda del Mezzogiorno. Nel momento di più prospero successo (l’invasione di Carovigno del 21 novembre 1862), l’ex Sergente borbonico spedì messi a Crocco per proporgli di unire le forze e muovere su Brindisi. Lì una formazione di quasi mille uomini doveva dare l’assalto al bagno, liberarne i forzati e arruolarli. Rinforzata da forse un cinquecento elementi a corto di scrupoli, smaniosi di liberta, preda e riscatto, il cosiddetto Esercito di Liberazione avrebbe raccolto il popolo e innescato la controrivoluzione. Senonché – scrive Antonio Lucarelli – Carmine Crocco, cui la politica serviva di pretesto ad accumular quattrini, dapprima chiese alcuni giorni di tempo per una definitiva risposta, poi, adducendo futili motivi “dichiarò senz’altro di non poter assecondare l’iniziativa del temerario collega”. Il resto è storia documentata: il Sergente non si perse d’animo, arruolò altri uomini, forse nell’idea di riuscire nell’audacissimo piano con le forze di cui disponeva. Ma la disfatta patita alla Masseria dei Monaci di San Domenico tra Noci e Alberobello (preludio alla definitiva sconfitta in quel di Bosco di Vallata nel gioiese) rese inattuabile il già chimerico piano.

Italo Interesse


Pubblicato il 19 Giugno 2019

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