Cultura e Spettacoli

Lo scatto che racconta e non esclude

 
 
A misura che la tecnologia mette a disposizione dell’appassionato o del professionista sempre più sofisticati strumenti di fotografia, quest’ultima arte incontra una difficoltà crescente a scansare le secche del lezioso, dello stereotipo e del ruffiano. Delle varie branche fotografiche è quella paesaggistica ad essere la più maltrattata. Il dovere di cui alcuni autori hanno inteso farsi carico nel nome di un facile sentimentalismo, ovvero il racconto del territorio com’era avanti della prima, della seconda o terza rivoluzione industriale sta producendo un florilegio di immagini furbe, perciò irritanti. C’è di che essere stufi, anche qui da noi, di libri dove scatti raffinati raccontano una Murgia, una Puglia di ulivi, trappeti e masserie che hanno smesso di esistere. Libri che sono gioielli dell’arte tipografica, tomi monumentali e dai prezzi proibitivi, destinati per lo più ad omaggiare alti rappresentanti istituzionali e a morire tra scaffali di librerie inaccessibili e inutili. Per tutti questi motivi salutiamo con favore “La luce del paesaggio”, una recente pubblicazione dell’Editrice Adriatica (Divisione Arte). L’opera raccoglie 35 click realizzati da Giuseppe Pavone nelle gravine di Castellaneta. Nato da un progetto di conoscenza del territorio promosso dall’Istituto Quinto Orazio Flacco di Castellaneta, il volume – come dice Vincenzo Velati – racconta un territorio fuggendo “l’idillio e la cartolina consolatoria” e senza cedere “alle sirene del realismo neorealista e al trucido sentimentalismo del genere brutti-sporchi-e-cattivi”. Il rifiuto del tragico, del pregiudizio ideologico e dell’oleografia che guida Pavone rende vera la sua fotografia. Qui l’obiettivo non scansa il segno dell’uomo. Obtorto collo, lo accetta non potendo fare altrimenti, in questo modo suggerendo un modo altro di guardarsi attorno. Piegandosi a una forma insolita di ‘integrazione’, in qualche modo la fotografia indica la strada dell’autenticità, strada che il fruitore può ricavare con gli occhi della fantasia assumendo l’abitudine di alleggerire l’immagine personale di corpi ‘estranei’ (tutti ovviamente di natura umana). Esemplari da questo punto di vista sono due scatti. Il primo si sofferma sull’architettura algida del ponte di Santa Colomba che, all’altezza dell’omonima masseria, congiunge le due sponde della Gravina Coriglione. Il secondo fa delle lontane campate di un viadotto ferroviario in muratura dell’era fascista il nodo centrale di una panoramica di grande suggestione. E poi c’è un bel filare di pini che orna il ciglio di una lama stagliandosi contro il muro bianco di un largo fabbricato sul cui tetto spiccano vistosi pannelli solari o altra diavoleria ; in fondo ad un tratturo, s’intravvede, gigantesca, la struttura di un elettrodotto ; un capannone in abbandono è in primo piano nell’immagine dove un vasto spazio verde  appare come sotto il peso della nuvolaglia, mentre in lontananza il solito viadotto… 
Italo Interesse
 
 
 
 
 


Pubblicato il 23 Dicembre 2011

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