Cultura e Spettacoli

Mimmo e il mare, “una storia d’amuri”

A chi abbia molti capelli bianchi la vista di un pescespada sul bancone di una pescheria (l’emozione è particolarmente a Polignano a Mare) evoca l’immagine di Domenico Modugno più che quella della crudele bellezza del mondo della natura. Nel 1954 la RCA stampava, contemporaneamente in formato 78 e 45 giri, il terzo microsolco del non ancora notissimo cantautore pugliese. Quel disco (che ebbe un modesto riscontro commerciale) recava incisa sulla facciata A ‘La donna riccia’, canzone di quel genere ironico-umoristico col quale l’autore pugliese si sarebbe misurato anche in seguito e sempre con successo. La facciata B era invece occupata da ‘Lu pisce spada’. Il testo ha per oggetto una “storia d’amuri” : Segnalata dall’avvistatore posizionato in cima all’albero maestro, una coppia di pescispada viene  raggiunta a forza di remi da una barca di pescatori. Al momento opportuno il fiocinatore scaglia la sua arma centrando la femmina “drittu drittu ‘ntra lu cori”. E questa “chiancìa di duluri” mentre “la barca la strascinava via e lu sangu ni curria”. “Lu masculu”, il quale “parìa ‘mpazzuto” e a sua volta “chiancìa”, cerca di consolare la femmina (“bedda mia no chiancìri) disperandosi di non sapere come liberarla dell’arpione : “dimmi tia c’haju a fari”. Allora con “nnu filu e filu ‘i vuci” la  “fimminedda” risponde all’amato di fuggire, “ca sinò t’accidunu”. Ma lui continua a nuotare al suo fianco in attesa del secondo arpione, perché “si tu mori vogghiu murìri ‘nzemi a tia, amuri mia”… Negli anni della celebrità Modugno disse d’essersi ispirato ad una storia letta su un giornale. Quella del maschio del pesce spada eroe romantico non è leggenda, almeno nel periodo della riproduzione. Effettivamente in questi casi il maschio cerca di difendere la compagna restandole vicino, addirittura arrivando con la ‘spada’ a vibrare colpi in direzione dell’arpioniere (il quale nelle antiche barche costruite per la caccia al pescespada era assai esposto a questo rischio trovandosi il suo posto a prua, in punta a una lunga passerella protesa sulle onde). Tradizione voleva che, una volta issato a bordo, al maschio venisse inciso un segno a forma di rombo in prossimità delle branchie. Era la cosiddetta ‘cardata ra cruci’ un ‘segno di rispetto’ impresso per distinguere l’indomito e fedelissimo pescespada dagli altri esemplari catturati. Se il pescato non era scarso, quel maschio non veniva messo sul mercato ma spartito tra l’equipaggio. Secondo una credenza millenaria, nutrirsi della carne di un animale ‘nobile’, vinto al termine di un cimento epico, conferiva coraggio e fortuna. Ma pure queste sono cose che appartengono al passato. Nell’immagine, ‘La pesca al pescespada’, pittura ad olio di Annunziato Vitrioli (Reggio Calabria, 14 aprile 1830 – Reggio Calabria, 11 marzo 1900).

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 28 Maggio 2020

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