Cultura e Spettacoli

“O morivo di fame o facevo il brigante”

La storia negata vuole che migliaia di soldati borbonici battuti ma non domi e men che mai disposti a barattare l’antica divisa per quella piemontese venissero da questi puniti con la reclusione il tempo necessario a morire di stenti dentro lager appositamente allestiti. Nessuno sopravvisse. E i soldati ‘liberatori’? caduti in combattimento o fucilati sul posto. A pochi il ‘privilegio’ del Bagno, altra anticamera della morte dove nessuno arrivava a scontare la più lieve pena. E che può fare il recluso privato da un crudele regolamento del sollievo di una visita e al quale l’analfabetismo neghi il conforto della corrispondenza? Affida le parole al vento, che “quando vuole è un bravo postino”. Comincia così “Briganti e piemontesi”, un atto unico di Luigi Angiuli che nei giorni del 150enario trova particolare ragion d’essere. Si immagini il cortile di un carcere affollato di detenuti per l’ora dell’aria. Un ergastolano molto vecchio siede in disparte, pensoso. Poi faticosamente si leva per rivolgersi ad un immaginario interlocutore. Il suo uomo è il Giudice che lo ha condannato. Il monologo, senza acredine, verte intorno alla speranza di illuminare Giudici, storici, signori e plebei in ordine alle ragioni per le quali cafoni pacifici si ritrovarono con una coccarda rossa infilata nella coppola e un fucile, un pugnale tra le mani. “O morivo di fame o facevo il brigante”, questo il leit motiv di ‘Briganti e Piemontesi’. Con pacatezza senile, sobrietà popolana e chiarezza geometrica Luigi Angiuli illustra i retroscena di quella che fu una storia sporca e contraddittoria, una storia autenticamente italiana, al termine della quale il ‘popolo basso’ (e non solo del Mezzogiorno) si ritrovò più pezzente di prima, al contrario di furbi, furbetti e furbacchioni. Verrebbe da stendere un sudario su questo teatrino dei pupi dove a prendere mazzate furono le solite, innocenti povere chiappe, a tutto beneficio dell’eterno pistolino voltagabbana e  faccendiere. Ma non si può tacere. A Nord insistono nel coprirci gratuitamente di fango, la questione meridionale è ritenuta superata, i libri di scuola continuano a parlare di guardie e ladri, di soldati da un lato e di briganti dall’altro, di repressione del brigantaggio e non di guerra di liberazione… E’ tempo di gridare. E poco c’è mancato non si gridasse lunedì sera alla Libreria  Roma dove il testo di Angiuli è stata presentato da Daniele Giancane. La vivacità con cui due sere fa si è discusso di Risorgimento falso, di Unità raffazzonata, di massoni pupari, clero intrigante, industriali famelici e stranieri interessati segnala come il popolo del Mezzogiorno non abbia mai dimenticato l’affronto più grave della propria storia. E’ dall’ultimo giorno di Federico II che aspettiamo il riscatto.
 
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Pubblicato il 22 Giugno 2011

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