Cultura e Spettacoli

O, piuttosto che, ossimoro

Da un po’ di tempo nell’italietta gli orrori della comunicazione, dai “media” diffusi, propagandati, si stanno susseguendo, ad ondate, mossi dal vento dell’ignoranza, della superficialità dei saccenti “radical – chic”, appartenenti, facenti parte al/del mondo della politica, del giornalismo, dello spettacolo, della finanza, della prezzolata cultura, dell’arte, dell’editoria, del sindacato, ecc. ecc., ecc., insomma, del consolidato “establishement” centrale, le cui teste di legno, purtroppo, appaiono  in televisione, sono di casa in essa, si servono dei ”social” per fare da “maitre a non penser” dei buzzurri, dei periferici, anche, con diplomi, titoli accademici,  loro imitatori pedissequi, acritici, sì da mettere da parte le loro potenzialità raziocinanti, per accettare ciò che viene dall’ ”alto”, aggettivo, la cui accezione semantica non è riferibile a Nobiltà, Carisma Culturale, Spirituale dei presunti “in alto”, ma a posizioni di potere o ad esso collaterali o infognate negli innumeri sottoboschi di esso. Pressato dallo spazio e dal tempo, tiranni della Scrittura, Fornisco due significativi esempi, ma tanti altri ce ne sarebbero da proporre al generale ludibrio, ”a bizzeffe”. Ripropongo la mia indignazione a proposito della messa tra parentesi nel discorrere della ”O” congiunzione con valore disgiuntivo o esplicativo a favore dell’avverbio “piuttosto o piuttosto che”. Bene, la “O con valore disgiuntivo tende ad organizzare, collegare, armonizzare, connettere più elementi della medesima natura grammaticale in una proposizione o più proposizioni del medesimo tipo all’interno di un periodo. Equivalendo a “oppure”, la “O” palesa, ora, un’alternativa: Vino o birra o acqua (erratissimo: vino, piuttosto birra, piuttosto acqua); ora, una contrapposizione: Ti scriverò o verrò di persona; (erratissimo: ti scriverò, piuttosto verrò di persona); ora, una reciproca esclusione: bianco o nero (erratissimo: bianco piuttosto nero); hai capito o no?. La “O” con valore esplicativo indica una equivalenza fra due o più termini: la spigola o, ovverosia, vale a dire, ossia il bronzino (erratissimo: la spigola piuttosto il bronzino); semiologia o, ovverosia, vale a dire, ossia scienza dei segni (erratissimo: semiologia piuttosto la scienza dei segni). Bene, ”Piuttosto o piuttosto che”, avverbio, vale: (1) più spesso, preferibilmente: si muove piuttosto in bici che in auto; (2) o meglio: vediamoci in piazza, o piuttosto a casa; (3) alquanto: è piuttosto antipatico; (4) invece: dimmi piuttosto come la pensi. Dal ”Treccani” si Legge: ”Da qualche decennio si è diffuso l’uso di “piuttosto che” con il significato disgiuntivo di “o”,”oppure”, a indicare un’alternativa equivalente. Il fenomeno probabilmente ha avuto origine nel parlato del Nord Italia e ben presto la novità è stata accolta dai conduttori televisivi, dai giornalisti, dai pubblicitari e in seguito dalle riviste e dai quotidiani, contribuendo a diffondere un uso improprio… Si tratta di usi decisamente sconsigliabili non solo nello scritto, ma anche nel parlato”. Il “nord”, quindi milano, il centro economico e, decisamente, necessariamente, politico dell’italietta, in/per essa mallevadore di costumi economici, relativi a smodati profitti, immorali; di sottocultura, di strafalcioni linguistici. Di fatto, capitale dell’italietta, ad onta di una capitale ufficiale, roma, in nome, a causa della quale ci fu  la “breccia di porta pia”; sì, centro fisico della penisola, “sed”, già, da molto prima del 476 d.c., anno in cui si data la caduta dell’impero romano, mai più, Punto di Riferimento Politico, Culturale dei popoli, specie, di quelli gravitanti intorno al bacino del Mediterraneo; carica di Storia, sì, “sed”, altrettanto, stracarica di millenaria corruzione, di nepotismo papista, di rassegnazione da parte della suburra smagata, amante dell’irresponsabilità nel farsi clientela, aspettando all’uscita di casa il potente di turno, piuttosto che (mo’ ci vuole!) della Responsabilità del Soggetto Sociale in viatico, ”in progress”, verso la Liberazione dalle ”secolari catene”. E veniamo all’ ”Ossimoro”, “Figura Retorica”, sommamente, di moda nell’italietta, da un po’ di tempo; “di tendenza”, Direi. Cos’è la “Retorica”? E’ l’Arte del Parlare e dello Scrivere Bene. Cos’è, pertanto, la “Figura Retorica”? Sin dalle sue Forme Classiche, s’Intende per “Figura” (dal Greco, “skema”, dal Latino, “fingo”, dar forma, plasmare, modellare, foggiare) qualsiasi Artificio nel Discorso Parlato, non di uso corrente, e Scritto o Letterario Volto a Creare un particolare Effetto. Più precisamente, La “Figura” è ogni Parola o Costrutto che, AllontanandoSi dall’uso linguistico comune, Serve a Rendere più Efficace il Discorso. L’ ”Ossimoro” è una “Figura Retorica” che Giustappone due termini, apparentemente, incompatibili. Dove, apparentemente? Nella Frase, in cui l’insigne Parlante (ad esempio: grandi Oratori, come Demostene, Cicerone; grandi Avvocati, come Carnelutti) o il grande Scrittore, il grande Poeta, Utilizzando termini, nell’uso quotidiano, “in sermone omnium”, irrimediabilmente, incompatibili, Riescono a Dare ad essi Sfumature di Senso, quasi, ad Adombrare il “Sovrasenso”, di cui Parla Dante, che Superino, all’unisono, il loro significato di base, letterale, sino a Fare  Lambire ad Essa il Sublime, cioè, Ciò che Sta, appena, sotto la, non compiutamente, Raggiungibile Idea della Bellezza, in cui la Verità E’ Dissolta. L ”Ossimoro”, già, nelle parole che Lo Compongono è un “Ossimoro”! Infatti, è una “Figura Retorica”, Composta di due aggettivi: “oxys” (acuto), “moros” (stupido, sciocco), comunemente, consuetamente,, incompatibili; invece, quanti personaggi, come il plautino Pirgopolinice, il “miles gloriosus”, il soldato fanfarone, che si vanta di aver concluso insigni imprese belliche e amatorie, sistematicamente, smentito dallo sviluppo degli avvenimenti nella Commedia “Miles Gloriosus”; come Nicia, della “Mandragola” di Machiavelli, di Lucrezia il marito, vittima di un inganno, per consentire a Callimaco di diventare l’amante della moglie, si rivelano, perfettamente, acutamente, sciocchi e quanti personaggi, Interpretati dal Divino Totò, Rivelano Acutezza di Pensiero, di Riflessione sotto un’apparenza di stupidità? L’ ”Ossimoro” classico che i manuali di Stilistica ci esibiscono è: “Festina lente” (Affrettati lentamente). I plebei, pur con diplomi o titoli accademici, fiutando l’assoluta incompatibilità denotativa tra l’avverbio (lente), la cui basicità semantica è la lentezza, la flemma, l’indolenza, e il verbo (Festina), la cui basicità semantica è la velocità, la sveltezza, la sollecitudine, l’alacrità, opinano che l’”Ossimoro” stia nella volgare denotazione semantica, che sancisce l’incompatibilità dei due termini affiancati in una frase; mentre l’ ”Ossimoro” sta nella connotazione semantica dei due termini affiancati, se la Relazione tra essi è Operata dal Poeta che Scava in essi, dal rapporto tra essi, Accezioni di essi altre, oltre la loro lettera, che giustificano, motivano, il loro razionale Accostamento, appunto, compatibile in un Verso, che Egli Vuole il più possibile Pregnante di Bellezza e di Verità. E, allora, Egli Vede nell’avverbio ”lente” tutto il Lavorio della Mente che Studia la direzione, la meta, Sceglie i percorsi, ne Valuta i pericoli e gli ostacoli da Rimuovere, perché il Moto sia Progredire. Progresso, cioè, l’Aggredire gli scalini di un’Ascesa, l’Andare avanti, l’Avvicinarsi alla Realizzazione di Qualcosa di Immaginato e Progettato sia un “Pro” l’Uomo, “Pro” la Socialità fraterna dell’Uomo con l’Uomo, non l’uomo “contra” l’uomo; sia Affrancamento dalle cose,  delle situazioni peggiori, negative del passato, del tempo, della stagione in cui si stazionava impelagati nella ”selva oscura” e, perché no!, Conservazione delle cose, delle situazioni migliori, positive del tempo che fu, prima dell’inabissarsi nella stasi involutiva dell’ inazione intellettuale, spirituale, culturale, infine, politica. Si è tanto criticato e si critica, ancora, Pasolini che si definiva un “Conservatore di Sinistra”. Intanto, bisogna Premettere che le parole sono un involucro in cui chi  le adopra mette tutto il suo modo di esistere, la sua storia, i suoi progetti, le sue paure, le sue frustrazioni, insomma, tutto il suo irripetibile essere, se non è omologato, omogeneizzato in una serialità di “essere” e di esistenze. Pasolini, certamente, non avrebbe voluto conservare: lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo; il fordismo, cioè, la produzione, altamente,  standardizzata con la riduzione dell’operaio a momento irresponsabile del ciclo produttivo; la schizofrenia consumistica della modernità; l’indistinguibilità delle umane epifanie, rese, esistenzialmente, simili dalla totalizzante telecrazia e, quindi, facilmente, addomesticabili. Auspicava il ritorno alle radici, una  “regressione barbarica”, un recupero della primordiale ingenua nudità degli uomini, privi delle incrostazioni sottoculturali, che ad essa si erano sovrapposte,”deanimalizzandolo” e, umanamente, “imbestiandolo”. Egli  Affermava che nella misura in cui si accettino o si rifiutino le radici, esse non possano non costituire per ciascun uomo la rampa di lancio  per organizzare, eticamente, il proprio futuro. Predicava l’Amore per la terra, annualmente, se non, giornalmente, mangiata dal cemento, che aveva fatto “scomparire le lucciole”. Era di Sinistra? Erano di Sinistra i suoi Rifiuti e i suoi Auspici? Per ME la Sinistra non è, mai, Esistita: Essa è l’ ”Utopia”, il Luogo che non c’E’ e, ammesso che Qualcuno L’abbia Individuato, Lo Individui non ha Individuato, non Individua gli Itinerari, i blocchi, gli ingombri da Levare, Spostare, ché Essi fossero, siano Spediti per RaggiungerLo e PercepirNe le Novità. Per cui Pasolini, come moltissimi, Maestri e Profeti, ha Pronunziato e Scritto Parole, che nella sue Speranze avrebbero potuto Migliorare il mondo, ma non lo avrebbero Reso Altro. Se, dunque, il Conservatorismo di Sinistra Pasoliniano è un “Ossimoro”, Lo è non per l’incompatibilità di base dei due termini (conservatorismo e sinistra) avvicinati, affiancati, ma per la compatibilità tra l’impossibilità di conservare ciò che la modernità non può non distruggere  e la mancanza della “Forma” in cui gli Indicatori della Sinistra dovrebbero essere Contenuti. Impossibilità e mancanza sono le due facce compatibili di ciò che non è, giammai, stato, mondanamente, reale. Così, veltroni, intervenendo ad una ”convention” del pd, ribadì l’incompatibilità “ossimorica” tra conservazione e sinistra, celebrando il rinculante riformismo renziano che, perché tale, non poteva, secondo il clintoniano, mai, a suo dire,  pciniano, seppur dal pci, ognora, rifocillato di prebende e prestigiosi incarichi di potere, non essere di sinistra. Certo è un’ardua Sfida culturale Ricostruire nelle fantasie veltroniane l’Armonia dell’”Ossimoro” che si stabilisce tra i termini “Conservazione e Sinistra”, se di essi si Effettua la Connotazione, ma dal discorrere del “walter” bisogna cancellare, rimuovere, pure, l’enfasi sul riformismo renziano, quello sì, refrattario alla Ragione e alla Sensibilità degli Uomini di Buona Volontà, in quanto esso è la metafora della cinquantennale immoralità democattolica e del ventennale istupidimento del popolicchio italiettino, declinato o coniugato dai tubi catodici di un mendace liberale: il berluska di arcore.

Pietro Aretino, già detto Avena Gaetano       


Pubblicato il 9 Maggio 2017

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