Cultura e Spettacoli

Partirono dai nostri porti i pescherecci della salvezza

All’inizio del 1916 la marina italiana si trovò impegnata in una vastissima opera di salvataggio. C’era da evitare che l’esercito serbo, ormai in ritirata, cadesse nelle mani degli Austroungarici : una massa umana composta da 150mila soldati, 23mila prigionieri destinati all’Asinara e un numero imprecisato di profughi  (massa alla quale andavano aggiunti 10mila cavalli e numerosi pezzi d’artiglieria). Per realizzare  l’impresa (poi paragonata a quella di Dunkerque, che nel 1940 permise di condurre a salvamento un numero ancora più alto di soldati inglesi e francesi accerchiati dalle forze tedesche nell’omonima sacca) la Regia Marina dovette allestire un imponente ponte navale Puglia-Albania. Ciò richiese la requisizione di molte unita appartenenti a società di navigazione. Tra queste unità c’era  un piccolo piroscafo passeggeri, il Marechiaro che dal 1912, anno di costruzione, era in servizio sulle linee che collegavano Napoli e le isole del golfo. Poiché le navi ospedali di cui si disponeva non erano sufficienti, si pensò di trasformare questo piccolo piroscafo di appena 411 tonnellate di stazza lorda. Con suoi  50 posti letto la Marechiaro fu la più piccola unità italiana classificata come nave ospedale. In tutto effettuò sei missioni, trasportando complessivamente 258 malati. La sua storia ebbe termine il 21 febbraio 1916, al largo di Durazzo, a causa dell’urto contro una mina posata da un sommergibile della Kriegsmarine. Gravemente colpita, la Marechiaro cominciò a imbarcare acqua mentre a bordo si sviluppava un incendio. Memorabile è rimasto il gesto del capitano medico Samuele Gnasso (poi decorato con medaglia d’argento al valore) il quale, pur finito in acqua e gravemente ferito, volle tornare a bordo dove si prodigò a prestare la sua opera finché possibile. Alla fine persero la vita 23 uomini dell’equipaggio e 10 ricoverati (104 le persone messe in salvo). Ma le vittime avrebbero potuto essere assai più numerose se dai porti pugliesi non fossero partiti in soccorso molti drifters, pescherecci a vapore di grandi dimensioni attrezzati per la pesca a strascico delle aringhe nel Mare del Nord (appartenevano infatti alle marine britannica e francese). Questi drifters venivano utilizzati per la posa e la vigilanza delle reti antisommergibile che sbarravano il canale d’Otranto. L’intercettazione dei mezzi subacquei avveniva per mezzo degli idrofoni di cui quelle reti erano fornite. Una volta intercettata l’insidia, i drifters avevano il compito di  avvisare le navi militari ed eventualmente andare all’attacco col cannone prodiero o con le bombe di profondità di cui erano dotati.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 18 Maggio 2016

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