Cronaca

Vertenza Bosch: ora garanzie serie sul sito di Bari

Vertenza Bosch, ci risiamo: ieri al Ministero dello Sviluppo economico i vertici della Bosch hanno illustrato la situazione dello stabilimento di Bari, attualmente incentrata all’80% sul diesel e al 20% su lavorazioni di meccanica fine. La forte dipendenza dal diesel determina una debolezza destinata a peggiorare col tempo, causa le scelte dell’Unione europea sulla transizione all’elettrico. E dire che negli anni 2017-2021 sono stati effettuati investimenti per 70 milioni di euro e altri 19 milioni previsti nel 2022-2023, con un incremento di capacità produttiva sulla e-bike, più altri 11 milioni per internalizzare un componente della pompa ingranaggi. Ma ciò non è certo sufficiente a raggiungere quella diversificazione produttiva che, da sola, potrebbe garantire la sopravvivenza della fabbrica di Bari nel lungo periodo. Benché la Direzione aziendale ribadisca la richiesta di recupero di produttività per attirare nuove lavorazioni, al momento le opportunità di nuove missioni restano modeste e generiche. E così anche ieri i sindacati hanno chiesto alla Direzione Bosch garanzie formali – e non più solo generiche – sul mantenimento dello stabilimento di Bari e sul fatto che non ci saranno esuberi forzosi, ma si ricorrerà solo a strumenti di gestione dell’occupazione socialmente sostenibili. Richieste pure forme di rotazione durante la cassa integrazione, sempre al fine di assicurare un’equa distribuzione del lavoro, ma anche forme di sostegno al reddito in una fase di evidenti e prolungati sacrifici per i lavoratori. <<Dal Governo ci aspettiamo invece il supporto per il prossimo quinquennio in termini di ammortizzatori sociali, anche a costo di dover ulteriormente modificare il “jobs act” come già fatto in passato per fronteggiare altre delicate vertenze”, hanno puntualizzato le rappresentanze di Fim, Fiom, Uilm e Ugl. Insomma, bisogna darsi da fare per trovare gli strumenti atti alla riconversione produttiva della fabbrica del capoluogo pugliese, con un monitoraggio costante che coinvolga anche la Regione Puglia e cercando di allocare nella fabbrica barese ciò che viene progettato nel vicino centro ricerca con il cofinanziamento regionale. Eppure sembra ieri che i sindacati esprimevano ‘forte preoccupazione’ per la mancanza d’un piano industriale che guidasse il sito di Bari verso una reale transizione. E infatti non sono trascorsi nemmeno cinque anni che nella zona industriale del capoluogo un colosso come la Bosch e un grande gruppo come Getrag erano tornate ciclicamente a sventolare consistenti provvedimenti di cassa integrazione per migliaia di persone, prima di alzare definitivamente bandiera bianca sul fronte della produzione industriale in Puglia. Così tassello su tassello, si completava il quadro sempre più scuro dell’indotto a singhiozzo, degli ordini sempre meno consistenti, costringendo a pagare il prezzo più alto della crisi ai lavoratori che producono pistoni per motori, batterie, ricambi, sistemi frenanti e ‘common rail’ per motori diesel. Nella zona industriale di Bari, ridotto a enorme cimitero di elefanti, sembrano ancora più lontani gli anni dell’entusiasmo per l’arrivo dei “Tedeschi” – come li chiamavano alla Bosch – pronti a prendersi incentivi nazionali e regionali per planare dalle nostre parti, come polo avanzato dell’indotto della componentistica e della subfornitura. (fradema)


Pubblicato il 15 Luglio 2022

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