Cultura e Spettacoli

La leggenda più bella del ‘Novecento’

La leggenda più bella del ‘Novecento’, così è stata definita l’opera che nel 1994 ha consegnato alla celebrità Alessandro Baricco. Questo monologo, via di mezzo tra “una vera messa in scena e un racconto da leggere ad alta voce” (sono parole dello stesso autore) è così bello, così ben confezionato che si stenta a credere sia invece  frutto di fantasia. Allo stesso modo il film che Giuseppe Tornatore ne trasse nel 1998 lascia il sospetto d’essersi ispirato ad un fatto accaduto realmente. Insomma, il capolavoro di Baricco è così, ‘prende’. E non prende solo la platea. Ci può stare allora che nelle ultime, toccanti battute, quelle in cui finalmente Novecento spiega come mai non sia mai sceso dalla nave su cui nacque, l’interprete di turno si lasci andare a commozione autentica. Nell’allestimento di Artemisiateatro che venerdì scorso era in cartellone al Forma, l’onore e l’onere di questo momento è toccato ad Armando Merenda, attore carismatico e di grande presenza scenica. Toccanti le lacrime che gli hanno bagnato gli occhi. Toccanti anche perché espressione di un sentimento comune a tutto il cast, completato dai non meno bravi  Maurizio De Vivo e Dario Diana (hanno partecipato anche Mariella Lippo, Maria Passaro e Franca Pastore). Molto caldo l’applauso che la platea del teatro di via Fanelli ha tributato a questa messinscena diretta da Enzo Strippoli e pubblicamente dedicata a Ketty Volpe, la talentosa attrice barese di recente scomparsa. Strippoli – il quale imprime all’azione velocità diverse facendola pendolare fra stasi da fermo-immagine, attimi coreutici e impetuose accelerazioni collettive – opta per il racconto a più voci. L’io narrante resta l’anonimo trombettista che un giorno a bordo del Virginian fa conoscenza con Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, con la differenza che qui l’unica voce si moltiplica. La trovata in qualche modo fa pensare ad una possibile rimpatriata fra reduci di quel transatlantico. Chi tra i tanti che a vario titolo avessero viaggiato sul Virginian avrebbe potuto smarrire memoria di quel pianista ‘anomalo’? A rievocarne la vicenda, qui, sono soltanto uomini, mentre le donne si limitano ad un gesto muto che sottolinea il rispetto e il timore di Novecento verso la figura femminile. Nessuna meraviglia. Quella di Novecento è storia tutta al maschile. A parte il pianoforte, che suona da solo mentre Novecento gli siede davanti a mani giunte, la scena è vuota, avara di luce. Tale senso di vastità evoca quella della megalopoli verso cui Novecento prova incomprensione quando si ferma al terzo gradino della scaletta nel corso della sua abortita discesa, anziché quella dell’Oceano che gli ha dato la vita. In questo vuoto, che alquanto stringe il cuore, la donna, la Madre in primis, è la grande assente. Ma tale assenza lascia un segno impalpabile, qualcosa di vicino ad un ombra, a un odore, un’emozione inafferrabile… E la mente vola di nuovo a Ketty.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 15 Novembre 2017

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