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“Bari e Bergamo le tifoserie a cui sono più legato. Il rimpianto? Il mancato passaggio alla Juventus”

Risulta difficile parlare di calcio in questo gravissimo momento, però, permettimi di esprimere il mio giudizio. Che tutto ciò andava bloccato molto prima, non bisognava arrivare a stopparsi così in ritardo. Tuttavia, sono orgoglioso di essere italiano e di come stiamo fronteggiando alla situazione. Mi associo al dolore dei tanti italiano che hanno perso un proprio caro, e mi sono vicino al dolore della famiglia Pinto, per il giovanissimo tifoso biancorosso venuto a mancare. Lui era sicuramente piccolino quando ho vestito la maglia biancorossa, ma ho letto che era un grande appassionato biancorosso e che aveva il sogno di guidare una Ferrrare. Riposa in pace, guerriero biancorosso”. sono le parole commuoventi dell’ex calciatore biancorosso, Carletto Perrone, il quale ci ha rilasciato un’intervista a tutto tondo sulla sua brillante carriera. Carlo Perrone ha fatto tutta la trafila dai pulcini alla prima squadra del Padova sino a fare il suo esordio a 17 anni, squadra dove ovviamente è legatissimo ha concluso anche la carriera. Poi ha vestito altre maglie importanti, da quella del Lanerossi Vicenza, dell’Empoli, della Triestina, la bella favola del Campobasso, il ‘suo’ Bari come ama definirlo che gli ha consentito di fare il salto di qualità, l’Atalanta ‘monster’ di ieri con la quale arrivò a giocare in Coppa Uefa ed ancora, la squadra della sua città dove ha chiuso la sua carriera. Tanti, tuttavia, l’ex ala offensiva col vizio del gol, quasi settanta gol tra i professionisti, ci ha svelato anche alcuni retroscena dell’epoca e che senza ‘se’ e ‘ma’, tutti compreso il grandissimo e compianto, Gianni Brera, avrebbero auspicato una sua convocazione in azzurro ai tempi di Azeglio Vicini.

Sul coronavirus, il tuo messaggio e se te la senti di rispondere alle affermazioni gravissime giunte da personalità di spicco del Governo britannico.

E’ un momento di gravissima difficoltà, ma ci stiamo attrezzando per sconfiggerlo. Mi unisco al cordoglio della società biancorossa per un grandissimo tifoso, Maurizio Pinto, ed avendo letto che suo papa è medico, sempre in corsia, ancora di più un abbraccio virtuale per quello che lui e tanti eroi stanno compiendo. Mi dispiace moltissimo per come la decisione di sospendere tutto sia arrivata solo dopo che il virus si sia diffuso. Restiamo a casa, per favore, dimostriamo senso civico, di responsabilità e quando tutto sarà finito, potremo apprezzare di più questo sacrificio che sta mietendo vittime ogni giorno. L’economia sta venendo messa a dura prova, ma ci servirà per ricordare certi momenti ed essere più forti in futuro. Sulle dichiarazioni del ministro inglese e di quanto hanno affermato? Ti rispondo laconico. Esiste chi vota questa gente, è quello il problema. Sono orgoglioso di sentirmi italiano, certe dichiarazioni sono ovviamente indecorose, ma noi stiamo pensando a risollevarci, a combattere e ad essere uniti. Dobbiamo migliorare in alcuni aspetti ed essere più ligi, ma siamo sulla buona strada”.

Dopo il tuo esordio con il Padova a soli 17 anni, hai avuto la possibilità di conoscere il numero dieci per eccellenza, uno dei fuoriclasse mondiali e sicuramente il più importante della storia del calcio italiano, Roberto Baggio, quando vestivi la maglia della Lanerossi Vicenza. Raccontaci le tue impressioni. 

Quando io giocavo con il Vicenza, Baggio stava ancora negli Allievi, ma ogni volta che potevamo andavamo un gruppo folto a vederlo. Era due tre categorie, superiore ai suoi compagni. Faceva delle magie con il pallone, si metteva a disposizione della squadra e disegnava già dall’epoca delle traiettorie assurde. Va messo di diritto nell’Olimpo del calcio. Averlo avuto poi anche in squadra, quando ancora era ancora all’inizio della sua carriera. Ha giocato per via degli infortuni, quasi sempre con un solo ginocchio, ed ha vinto un ‘Pallone d’Oro’ e fatto sognare quando ha indossato la maglia azzurra. Conservo naturalmente piacevoli ricordi di quelle stagioni vicentine”.

Prima del Bari hai scritto insieme ai tuoi ex compagni di squadra, tra questi anche Fabio Lupo, una bellissima pagina sportiva con il Campobasso, in occasione dell’inaugurazione dello stadio ‘Selvapiana’ fermaste la Juventus di Scirea, Platini, Boniek e del barese Nicola Caricola. Con quel tuo Campobasso, vivesti pure il dramma della retrocessione in uno spareggio con la Lazio, disputato al ‘San Paolo’ di Napoli. Il tuo ricordo?

Partiamo dalla partita, correva il 13 febbraio 1985, erano gli ottavi della Coppa Italia ma era anche una data storica perché si inaugurava lo stadio di Campobasso che registrava già ‘soldout’ e ricordo lo sponsor sulle maglie bianconere era Ariston. Loro avevano in formazione gente come sua maestà, Platini, Boniek capitano, Scirea, il barese Nicola Caricola, Pioli, Prandelli, in panchina a riposare avevano Tacconi e Cabrini. Noi eravamo una squadra spensierata con tanta voglia di metterci in mostra e dare l’anima. Con me in formazione, c’era Fabio Lupo, che ci intendevamo ad occhi chiusi, anche se in quella gara entrò a gara in corso. Nel Campobasso c’era Progna, noi riuscimmo a vincere 1-0 con autorete di Pioli. A Ritorno, eravamo carichi ed andammo anche in vantaggio, sbagliammo anche un calcio di rigore che forse se l’avessi battuto, avrei gonfiato la rete e chissà. Poi alla fine i bianconeri, prima pareggiarono e poi ci travolsero 4-1. Disputammo bei campionati, coriacei, il presidente dell’epoca fece tanti sforzi economici, ma l’anno della retrocessione tante cose andarono storte e non entro sul merito, anche complice un allenatore bravissimo ma straniero che capì ben poco e fu sollevato dall’incarico a stagione in corso. Gianpiero Vitali, scomparso nel 2001, prese il suo posto e sfiorò una salvezza storica. Nello spareggio con la Lazio avevamo due risultati su tre, ma perdemmo una partita che non avremmo mai voluto perdere. Molti di noi vennero ceduti, ed io arrivai al Bari, Ma qui inizia un’altra storia”.

Con il Bari, due stagioni in B, la conquisto della Coppa Anglo –Italiana la cosiddetta ‘Mitropa Cup’ ed una stagione di ‘A’ prima di approdare all’Atalanta. Ricordo più bello e se nutri qualche rimpianto. E poi raccontaci di questo legame di amicizia, con il tuo ex compagno di squadra, Fabio Lupo.

Premetto che avevo giocato quasi sempre con tecnici che perpetravano la marcatura a uomo e non la zona mista. Catuzzi, prima di Sacchi è stato l’artefice del calcio totale. Un giocatore come me a cui piaceva la libertà di esprimersi, di inserirsi e dare libero sfoggio all’estro, ci andava a nozze. E così fu. Vi svelo, un particolare, facendo l’altra sera una chiacchierata con un grande giocatore del Bari, Giorgio De Trizio, mi ha confidato che mister Catuzzi gli aveva chiesto un consiglio e lui mi promosse. Stessa storia è avvenuta nei miei confronti, quando suggerì al mister di prendere Fabio Lupo, un giocatore che aveva qualità ma sapeva fare la cosiddetta fase di interdizione e la ‘quantità’ che chiedeva l’allenatore. Con Fabio ci ho giocato sei anni e lui tuttora è come un fratello. In quel Bari giocava pure Pietro Maiellaro, la bandiera Gianni Loseto e farei un torto se non nominassi qualcuno. Era un gruppo di uomini straordinari, sinceri, con i quali ho avuto l’onore da capitano di sollevare, e sottolineo purtroppo l’unico trofeo della storia del Galletto, la ‘Mitropa Cup’. L’anno della ‘A’ fui bloccato dall’infortunio, ma fu comunque importante. Impossibile non innamorarsi della tifoseria barese”.

Poi l’esperienza all’Atalanta, 15 gol con presenze anche in Coppa Uefa ed una mancata convocazione in azzurro come racconti nel libro ‘L’altro calcio, anni ottanta e novanta’ nonostante avessi i ‘fari ‘ puntati e gli attestati di stima del più grande giornalista sportivo di sempre, Gianni Brera?

Ti dico subito che arrivato a Bergamo temevo che non mi sarei ambientato. Ed invece, insieme a quella barese è la tifoseria alla quale sono più legato, oltre a tifare sempre anche per la squadra della mia città (Padova, ndr).  Invece, mi sono ambientato da subito, ho legato con tutti e con la tifoseria che ha apprezzato le giocate e la qualità unite all’impegno che ci mettevo. Giocai anche in Coppa Uefa ed arrivammo ai quarti di finale, uscendo contro l’Inter di Trapattoni di Serena e Matthaus. Noi in squadra in porta avevamo Ferron, era la stagione 1990-1991, oltre a lui, ritrovai Progna, c’era Bordin, Evair, l’allenatore era Giorgi mentre in campionato arrivammo decimi. Ma non finisce qui, perché quell’anno ero nella lista degli azzurri per la convocazione che però non avvenne mai. Nella stagione 1992-1993 ci allenava Lippi, ed io venni a sapere nella seconda giornata di campionato quando affrontammo la Juve di Trapattoni, direttamente dal grande Trap che fu Lippi ad opporsi per un mio passaggio in bianconero. Vi dico che quando ebbi un ‘face to face’ con il grande tecnico viareggino e quasi arrivammo alle mani, ma dopo quell’incontro-scontro mi ritenne importante e diede più possibilità, lui si era giustificato che avendo comprato un nazionale argentino, Rodriguez, non gli offriva le debite garanzie e voleva tenermi come prima alternativa. Rimpianti non ne ho però sicuramente ero in piena età matura per giocarmi le mie chance nella Juventus. Pazienza. Infine, vi svelo, come spiegato nel libro di Giovanni Fusco che vi invito alla lettura perché racconta di un calcio romantico che io tutt’oggi preferisco a quello moderno, e nella storia su di me è svelato l’episodio di quando incontrai Azeglio Vicini alla guida tecnica dell’Udinese, Biagioni, un giocatore che c’era stima reciproca, al termine della partita disse mister: ‘Hai sbagliato a non convocarlo in Nazionale, uno come Perrone’ ed io arrossì come un pomodoro, ed il tecnico rispose sorridendo ‘Lo so, ma errare è umano’. A quel tempo, che mi aspettavo una convocazione fui ‘attenzionato’ consentitemi il termine, dall’immenso Gianni Brera e tutta la stampa ogni volta che giocavo, mi facevano la domanda sulla Nazionale. Mi reputo, comunque felice della carriera realizzata.

Consentimi di fare i complimenti all’Atalanta di Gianpiero Gasperini per quello che sta realizzando e la corsa in Champions, oltre ad essere quarti in campionato per il secondo anni di fila, sono davvero felice e spero di tornarli a veder quanto prima dal vivo perché esprimono il miglior calcio, ed in Champions stanno ripetendo, quasi l’Ajax dello scorso anno, orgoglio sportivo italiano”.

Sul Bari targato mister Vincenzo Vivarini e della gestione De Laurentiis

Premetto che mi piace moltissimo come ha costruito il direttore sportivo la squadra. Vivarini ha rivitalizzato la squadra e sono imbattuti sotto la sua gestione. Certo hanno fatto troppi pareggi esterni, ma la squadra è compatta e coesa e dietro ha una società forte. Qualcuno forse temeva che Bari diventasse una succursale di Napoli, ed invece, stanno dimostrando di voler arrivare in alto. Reggina a parte, auguro al Bari le migliori fortune sportive e di poter venire non appena ci sarà l’occasione propizia di venire al San Nicola”.

Un’ultima battuta, sei allenatore ed hai avuto esperienze come secondo di Mondonico, Tesser ed Aglietti. Obiettivi presenti e futuri?

Hai citato un grandissimo allenatore Mondonico. In ogni caso Catuzzi resta quello a cui sono rimasto maggiormente legato. Sono stato secondo di Tesser e di Aglietti. E poi ho avuto esperienze da primo, Questo è stato un anno sabbatico e vorrei riprendere almeno dalla serie D, per aver mostrato sul campo le mie competenze.

Marco Iusco

 


Pubblicato il 17 Marzo 2020

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