Cultura e Spettacoli

“Che l’alba esploda”

 

Abbattuta la turris eburnea degli esordi, infranti gli specchi in cui compiacersi, con  la quarta incisione i CFF e il Nomade Venerabile giungono a maturazione. ‘Attraverso’ segna una svolta musicale e una presa di posizione intellettuale che si annuncia definitiva. La semplice scelta di auto prodursi, cioè di fuggire ogni ricatto editoriale, segnala una volontà di saltare il fosso, schierarsi e muovere guerra a un sistema di cose marcio. ‘Attraverso’ è disco arrabbiato, è assalto all’arma bianca. Sostenuta da un torrente musicale spesso tumultuoso (davvero notevoli gli arrangiamenti di Fabrizio Lavegas, polistrumentista della formazione), la voce di Annamaria Stasi – capace di grandi equilibrismi – viene giù a colpi di staffile per raccontare la perdita dell’ultimo briciolo di pazienza ; i testi, acidissimi, sono per lo più a firma di Vanni La Guardia (basso e voce) e in parte di Anna Surico (chitarre) e della stessa Stasi. ‘Attraverso’ trasmette la sensazione di una formazione che, suonando, avanza compatta e decisa a tutto. E viene alla mente ‘Il quarto Stato’, quella celebre tela dipinta da Giuseppe Pellizza da Volpedo, dove viene rappresentato il cammino di contadini e operai che vengono avanti come il fitto fronte di una falange. E per restare in termini pittorici, ecco affacciarsi al pensiero altra e non meno celebre tela, quel ‘La libertà che guida il popolo’ dipinta da Eugène Delacroix nella quale ‘la Marianne’, icona francese del motto rivoluzionario, appare alla guida di rivoltosi sventolando il tricolore. Ma qui non c’è populismo. Con senso concreto della poesia,  ‘Attraverso’ sollecita a strappare bende dagli occhi e catene da mani e piedi. C’è qui sentore di ‘primavera da piazza’, di cortei e barricate, echeggia il colpo di cannone sparato dall’incrociatore Aurora col quale nel 1917 venne dato al popolo di San Pietroburgo il segnale d’attacco per la conquista del Palazzo d’Inverno. Politicamente scorrettissimo, ‘Attraverso’ sarebbe piaciuto agli Area dei giorni di Demetrio Stratos. Il disco si apre con ‘Parto domani’, aggressivo canto d’emigrante che si distingue per il buon uso del basso. ‘Autoscatto’, click duro e impietoso del diverso, trova il meglio di sé nella coda strumentale. A seguire lo sferzante  ‘Il mio inverno’, monologo dell’amor sofferto. Torna il tema dell’emarginazione in ‘Bambina che correva a spegnere la luce’, brano che mette in evidenza una chitarra particolarmente cattiva. L’inesorabile ‘Che l’alba esploda’ annuncia la guerra, della quale si fa grido di battaglia il successivo e assillante ‘I padroni del mondo’ (gran lavoro alla batteria, qui, di Lorenzo Velle). Giunge poi il momento della riflessione :  ‘Fermati tempo’ ha una chiusura enfatica che ben introduce il tragico ‘La frana’. Vibra la speranza nell’assai teso e ritmato ‘Ritorno al me stesso di adesso’, cui opportunamente fa seguito ‘Nostra signora della neve’, determinata espressione di un complesso sentimento religioso. L’odore della fine, annunciato in ‘Inde…’, si fa largo con prepotenza con  ‘…venturus est’, nel cui clima d’anatema ed esaltazione vibra una richiesta d’aiuto. Il senso della rinascita innerva il conclusivo ed epico ‘Your time will come’.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 19 Aprile 2013

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