Cultura e Spettacoli

Consensi al Kismet:” ‘Io’, chi sono?”

La società globale schiaccia, annulla la personalità. Chi non si adegua al livellamento si solleva sui talloni, si sbraccia, grida, sgomita. Insomma, si fa notare. Qualunque cosa scelga non fa che gridare : io! Inghiottito dal coro di milioni di altri esibizionisti, quell’urlo svapora nel delirio collettivo. Solo in questi termini di pensiero si può giustificare uno spettacolo come “Io”, scritto e interpretato da Antonio Rezza (regia dello stesso e di Flavia Maestrella), andato in scena al Kismet giovedì scorso. Avvoltolandosi nei quadri di scena di Flavia Mastrella, un personaggio stralunato e debordante dà vita a un monologo demenziale dove da bravo impunito può dire tutto e il contrario di tutto, dare addosso a chiunque (platea inclusa). Si può dire che “Io” non abbia fine né inizio. Smontato, potrebbe essere ricomposto indefinite volte assemblando diversamentei numerosi tasselli senza che la sostanze delle cose cambi. A consentirlo è l’inafferrabilità di una vis comica anarchica, talora anche greve, tanto esuberante da voltarsi contro lo stesso pubblico, che non di meno se la spassa (quando mai al Kismet tanti applausi nel corso della rappresentazione?). Il lavoro del ventennale sodalizio Rezza Mastrella è una parata (assillante) di anti-personaggi e contro-situazioni. Non troviamo altro modo per raccontare “Io”. Proviamo a fare un esempio : Se un radiologo esaurito fa le lastre sui cappotti dei pazienti, se esistono strumenti di quieto vivere, se un piegatore di “lenzora” scivolando sott’acqua si fa doccia e dolce zampillare, se si può mangiare la vita bevendo acqua rotta che è portavoce dell’amaro vivere, vuol dire che non ce n’è più per nessuno, che si può solo stare in platea a subire Rezza come pugili messi alle corde. Poi, in qualche modo (e finalmente), la cosa ha termine e allora, mentre abbandoni la platea, ti domandi di che cosa sei stato testimone. Pur enumerando le tante ragioni di risata (tra le quali per quanto ci riguarda mettiamo al primo posto la gag del docente e dell’interrogazione) non puoi dire di aver assistito a uno spettacolo, ‘comico’ o di denuncia che sia. Piuttosto a un’espressione di insofferenza, di disagio personale portata in scena a fine auto terapeutico. Un non-allestimento, dunque, una cosa messa assieme assemblando schegge di follia e in assenza di un disegno drammaturgico. In “Io” s’improvvisa parecchio, confidando sul favore di un pubblico prima catturato con abilità, poi gestito con lazzarona leggerezza, infine tirannizzato. E’ allora che scatta la stanchezza. Rezza prende il pubblico e ne fa un polpo battuto (ma che se la gode anche quando ‘arricciato’). Ne esci che non ne puoi più di ridere o, semplicemente, che non ne puoi più.

Italo Interesse


Pubblicato il 12 Febbraio 2013

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