Cultura e Spettacoli

De gravis indignationis rebus (17) motivi di significativa indignazione

In questi giorni, spinto, ispirato, si fa per dire, dalle grossolane, antistoriche bordate di bergoglio (“tutte le religioni vogliono la pace; siamo in guerra, ma non sono in guerra le religioni”), che approfitta del clamore mediatico di esse  e ad esse pare intimare il “compelle intrare”, per parafrasare un’espressione di agostino, tentando di  costringere  i milioni di spettatori del pianeta, comodamente, seduti in poltrona a gustarsi gli spettacoli, da lui prodotti su “palcoscenici” faraonici, ad accoglierle, acriticamente, ho Riletto la ”Lettera sulla tolleranza” del Filosofo e Medico Britannico, John Locke, Considerato il Padre del Liberalismo Classico. La “Lettera”, Scritta da Locke nel 1685 in Olanda, ove Egli nel 1683 era stato forzato all’esilio, ha il suo “Incipit” nella Convinta Affermazione del Nostro che “la tolleranza è l’essenza della virtù cristiana”, in polemica, come, appena sopra, ho Anticipato, con il vescovo di ippona, agostino che, richiamando una frase estrapolata dal vangelo di luca (14, 23), riteneva legittimo il “ compelle intrare”, cioè l’uso della forza per recuperare gli eretici all’ortodossia. Locke, dunque, nella “Lettera” Si Chiede se sia stato dio a delegare a un’autorità terrena, a un magistrato di decidere in materia di religione. La risposta è: ”Non gli è affidata da Dio, perché non sembra che Dio abbia mai dato a un uomo un’autorità su un altro tale da costringerlo ad abbracciare la propria religione”. Dio ha Creato e Crea gli uomini ”liberi ed Uguali” e in Natura essi non sono subordinati gli uni agli altri; non sono stati, non sono Creati ”gli uni ad uso degli altri”. V’è in ogni Singolarità Umana Uguale Capacità di Riflessione e di Ricerca della Via Migliore per la Salvezza della Propria Anima, sì che ”quell’unica via stretta che conduce in paradiso non è più nota al magistrato che al singolo individuo, e non posso con tranquillità scegliere come guida chi potrebbe come me non conoscere la via, e che certamente è meno interessato alla mia salvezza di quanto sia io”. Lo stato, per Locke, non  è in pericolo se in esso agisce l’ineludibile pluralismo delle religioni; è, “contra”, in pericolo se un clero prevaricatore, arraffone di rendite e di posizioni, mescolando  religione e politica, animasse strutture di potere di chiese con la pretesa di agire, monopolisticamente, in ambito religioso, e non solo, invadendo gli spazi pubblici e civili dei Cittadini. Se la Libertà e la Volontarietà Associativa fosse l’Essenza delle chiese, in una situazione di Uguaglianza Disposta dalla Legge, per non favorire il monopolio dell’una sulle altre, non privilegiando l’una, angariando di persecuzioni le altre, sarebbe il pluralismo religioso ad annullare qualsivoglia pericolosità, sollecitando le chiese medesime  a controllarsi, vicendevolmente, a vicendevolmente, moralizzarsi. Per Natura Liberi ed Uguali, appunto, gli Uomini Consegnano il potere ai governanti ché, usando, legittimamente, la forza, si facciano Usbergo dei Diritti Inalienabili dei Singoli: il Diritto alla Vita, l’ ”Habeas  Corpus”, il Godimento dei loro averi, acquistati con il lavoro. Se lo stato è il garante supremo della Libertà dei Cittadini, non può farsi mallevadore di alcuna concezione filosofica, morale, religiosa, che possa pretendere di essere la “Verità”. Pertanto, con la positiva Attenzione al Pluralismo delle Scelte lo stato si mette in Armonia con la Natura, è con Essa Consonante. Per Locke, evangelicamente, la tolleranza non richiede l’adesione a un grumo di dogmi, “sed” la pratica dell’Amore. Nella Prospettiva del Liberalismo Lockiano la Laicità dello stato Si Riassume, Si Configura nella demitizzazione della sua sacralità, essendo esso il parto di un patto tra due contraenti (gli Uomini e i governanti); nel riconoscere competente la chiesa, esclusivamente, in materia religiosa, senza possibilità di tracimare in campo civile. Stato e chiesa in regime di netta separazione in quanto ”due organismi, che sono per origine, per fini, e per ogni rispetto assolutamente distinti”. Sarebbe stato Gesù col suo famoso aforisma:” Date a  Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (Marco, 12, 13 – 17) a Problematizzare i rapporti tra stato e chiesa, anche se il riferimento a “Cesare” non metteva, sostanzialmente, in discussione lo “staus quo” di un regime, di cui “Cesare” era il “dominus”, la cui prosperità di/per pochi si fondava sui rapporti di costoro con milioni di schiavi e, poi, di servi. Fu, esclusivamente, un’operazione nominalistica quella delle gerarchie cattoliche, in combutta con le classi egemoni del feudalesimo medievale, chiamare servi una moltitudine di derelitti che erano stati schiavi all’aurora di roma ed erano diventati servi al limitare del suo irreparabile tramonto. Infatti, mai, nei sermoni di Gesù Riecheggiano le Critiche Radicali che Giovanni Crisostomo Rivolge ai latifondisti: ”Se qualcuno guarda come costoro trattano i loro miseri e umili contadini, vedrà che sono più crudeli dei barbari. A coloro che sono consumati dalla fame e passano la loro vita lavorando impongono continuamente insopportabili tributi e li sottopongono a faticosi servizi…Questi disgraziati, dopo aver lavorato tutto l’inverno ed essersi ridotti all’estremo per il gelo, le piogge, le veglie, si ritirano con le mani vuote e per di più carichi di debiti. Ma più della fame, più ancora di queste sciagure, hanno paura e temono la violenza degli amministratori, le querele in tribunale, i rendiconti, i supplizi a cui vengono condotti e i pesi inesorabili che sono loro imposti”.”Tamen”, quell’aforisma, innovativamente, alludeva a un nuovo viatico, da esplorare nei rapporti tra religione e politica, tra stato e chiesa, cioè, alla distinzione, alla separazione delle loro competenze, se si tiene conto del contesto storico in cui il Nazareno svolse il suo magistero e dell’essere la religione pagana “in illo tempore” nient’altro che “instrumentum regni”. Sia nella roma repubblicana che in quella imperiale l’identificazione del sacro con il profano, l’assimilazione del sacro al profano rappresentava il basamento ideologico dell’asservimento della “plebs urbana e rustica” da parte delle classi egemoni: l’aristocrazia terriera che occupava gli scranni del senato romano e gli “homines novi”, la ricchissima classe di mercanti. di appaltatori di opere pubbliche, di avidi riscossori  di gabelle, grazie al prestigio della recente e, non sempre, legittimabile ricchezza, in senato, poi, associati. Ebbene, i magistrati, tutti appartenenti alle classi, di cui testé ho fatto cenno, redigevano le leggi; i pontefici, gli aruspici, i sacerdoti, anch’essi appartenenti alle classi (o ad esse organici), di cui testé ho fatto cenno, s’incaricavano di controllare che esse fossero compatibili con la religione pubblica, quella capitolina, le cui regole, secondo la tradizione, erano state istituite da numa Pompilio, dal secondo re di roma. Ovviamente, se i controllori, decrittatori degli intendimenti del cielo, appartenevano alla medesima parrocchia dei controllati, tutto ciò che quest’ultimi producevano in materia di pubblica legislazione non poteva che essere il riflesso ed emanazione della forza e volontà divina e non poteva non assicurare la “pax deorum”. Se gli dei così e così avevano voluto, volevano, la “plebs urbana e rustica” non poteva non piegare la testa ai “desiderata” di essi, che erano i “desiderata” dei ladroni al potere. Cicerone,”homo novus”, scriveva, disinteressandosi di essere in lapalissiano “conflitto d’interesse”, che tra i valori da salvare, bisognava assegnare il primo posto alla religione: ”gli elementi che meritano la protezione e la difesa, anche a rischio della vita, da parte dei cittadini più autorevoli, sono questi: le istituzioni religiose, gli auspici, i poteri dei magistrati, l’autorità del senato, le leggi, il mos maiorum”(Pro Sestio, 46, 98). E bravo il console che faceva eseguire le condanne a morte dei Compagni di Catilina senza processo e, in più, s’incaricava egli stesso di accompagnare al patibolo i condannati! Le istituzioni religiose erano state create da un re; gli auspici venivano officiati da aruspici, come lui, che si chiedeva perché mai gli aruspici non fossero spinti al riso, mentre eseguivano davanti agli ignari i loro interessati, esilaranti, ridicoli, comici vaticini; il senato era composto da suoi sodali; il ”mos maiorum”, era il nucleo della morale tradizionale elaborata dagli antichi inseriti nel cerchio magico del potere, per ingabbiare, controllare, senza la necessità di carabinieri “ante litteram” gli esclusi. gli ultimi, i, metaforicamente. senza voce. E’, così, spiegabile che cicerone  proclamasse, anche, il sacrificio della vita da parte di coloro che dalla salvaguardia di siffatti disvalori  si giovavano per essere egemoni nella incivile società romana! Sennonché il senato romano, alle idi di ottobre del 186 a. c., promulga  un “senatusconsultum de bacchanalibus”, diffuso, capillarmente, per tutto lo stivale, a riprova della Straordinaria (pericolosa per i detentori, di sempre, del potere in roma) Diffusione del “Movimento dei Baccanti”, tanto è vero che una copia di esso fu ritrovata in una località sperduta dell’allora impervio “brutium”. Il “senatusconsultum” vietava i “Baccanali” e condannava alla pena capitale i capi e gli affiliati al Movimento. Tito Livio, in “Ab urbe condita”, racconta, facendosi portavoce della irriducibile irritazione del senato, messo a parte delle Finalità, soprattutto, Politiche che il Movimento Si Proponeva, di Baccanti più sulle forche che nelle carceri. Perché, allora, tanta determinata ferocia da parte della classe senatoriale nei confronti dei Baccanti ? Perché nel Movimento, da Essi Formato, avevano Giurato Solidale Alleanza Uomini e Donne, Abitanti la penisola italica, Provenienti da tutte le classi sociali, specialmente, da quelle di rilevante emarginazione, che durante sedute orgiastiche Immaginavano di poter Intrattenere Rapporti Diretti con la divinità, scavalcando, delittuosamente, secondo la classe senatoriale romana, coloro che essa aveva destinato, iniziato alla mediazione tra la divinità e gli uomini. La mediazione degli iniziati, per mezzo di riti in cui si esaminavano le viscere degli animali, vaticini, auspici, la valutazione del volo degli uccelli, consisteva nel far dire alla divinità ciò che i loro mandanti avevano in animo che dicesse; ciò che i loro mandanti avevano deciso che fosse giusto, appropriato, favorevole alla realizzazione dei loro piani truffaldini. Il senato romano fu rigido e intransigente per la inconfutabile (secondo i suoi componenti) preoccupazione di eventuali sovvertimenti sociali a cui i Baccanti avrebbero potuto Dare Origine. Non sarei Lontano dalla Verità Storica, se Dicessi che il “Movimento dei Baccanali” fu il Primo Tentativo, sufficientemente, Studiato, Organizzato, Supportato da Valide Ragioni Ideologiche, per Sconvolgere un regime, socialmente, gerarchizzato, ben radicato in roma e nella penisola, gestito da una classe di  grassatori che, approfittando del silenzio – assenso dello stato, da essi rappresentato, avevano inventato l’ “usucapione”(l’acquisto di un bene attraverso il possesso continuato di esso, non interrotto dal legittimo proprietario con atti, notifiche, giuridicamente, validi) per trasformarsi da “possessores” delle terre demaniali in proprietari di esse. Ho, precedentemente, Asseverato che l’aforisma, a Gesù attribuito: ”Date a Cesare, ecc., ecc., ecc.”, nonostante che il solo nominare “Cesare” potesse significare un invito a considerare definitivo il sociale “status quo” del passato, anche, per il presente e per il futuro, pure segnava una netta demarcazione tra la politica e la religione, tra la chiesa e lo stato. Ma, appena, teodosio nel 380 d.c. con un editto eleva o abbassa il cristianesimo a religione di stato, i cristiani incominciano a perseguitare  i seguaci di altre religioni  (ebrei e mitraisti, cultori di un’antica religione ellenistica, basata sull’adorazione del dio meithras che, apparentemente, deriva dal dio persiano mitra). Oggi, i cattolici dalla memoria corta inorridiscono quando vengono messi a parte dei delitti esecrabili, delle stragi commesse dalle milizie, sedicenti mussulmane, dell’isis”, ma chi rinnova la memoria, ripercorrendo all’indietro i millenni e i secoli, non può fare a meno di constatare che la gerarchia cattolica ha perpetrato crimini in modi, affatto, più truculenti di quelli dell’ ”isis”. Specializzata in genocidi, ad esempio, in un’epoca in cui la popolazione europea non superava i 15 milioni di abitanti, le vittime delle crociate furono 5 milioni. Genocidio sistematico con la conquista dell’america: nel 1500, ancora ad esempio,  la popolazione del messico contava circa 25 milioni, si ridusse a 1 milione nel 1600. Gli indios furono, anche, decimati dalle epidemie portate dagli invasori, armati di croci, arricchite di icone di cristo, e di fucili. Per non parlare delle sanguinarie nefandezze dell’inquisizione, i cui giudici venivano nominati dal papa o dal re, cioè, facevano parte di un sistema clientelare tra i più corrotti della storia. Si processavano, perfino, i morti, perché  i beni degli accusati, pur passati a miglior vita, e dei loro eredi venivano confiscati dall’inquisizione; metà andava al papa, l’altra metà se la dividevano i giudici. Alcuni papi accumularono enormi ricchezze per mezzo dell’inquisizione. E – grege bergoglio, per mancanza di spazio, non ho potuto approfondire il mendacio dei suoi predecessori sul documento della “donazione di costantino” che porta la data del 324 d.c., con il  quale la gerarchia cattolica, per un mlliennio, ha giustificato la sua libidine di dominare gran parte del pianeta. Nel 1440 Lorenzo Valla ne Dimostrò la falsità e, stizziti dal suo Coraggioso Studio, i maggiorenti della chiesa cattolica usarono i loro scherani in due prove fallite di ucciderLo. Alla fine della sua “Declamatio” sul falso documento della “donazione di costantino”, il Buon Lorenzo Lamenta che la chiesa cattolica non ha avuto, giammai, un pontefice che abbia amministrato con fedeltà. Ma che anzi il papa portava discordie e guerre tra i popoli. I papi, avidi di ricchezze, hanno sempre pensato di poterle strappare  dalle mani di chi occupava ciò che costantino avrebbe alla chiesa cattolica donato. Lorenzo Si chiede dove sia più la religione, se nessuna cosa è più santa, se non c’è più il timore di Dio: tutti i malvagi scusano i loro delitti con l’esempio dei papi. Allora, e – grege bergoglio, le religioni portano la pace, se le Geremiadi dell’Umanista Valla sono Motivate ? Intanto, dobbiamo definire meglio il concetto di pace, ché possiamo correre il rischio di prendere ad esempio la “pax augustea” che prescriveva a tutte le popolazioni gravitanti intorno al bacino del Mediterraneo di obbedire, rassegnate, ad augusto, imperator e “divus”. Ecco, la religione è la protesi del potere politico e la sua struttura ambisce all’onnipotenza del potere politico. Lei ha avuto l’accortezza di vestire il suo potere assoluto con omelie, a dire il vero, non esaltanti, riempite di sentimenti buonisti, “sed” s’è guardato bene dal mettere in discussione il suo “status”canonico di “basileus in suis operis atque operibus solutus consensu populi dei”, tanto è vero che “motu proprio” ha rimosso padre lombardi da direttore della sala stampa e, come il pontefice polacco, s’è affidato a un “numerario”, votato alla castità, dell’ ”opus dei”. Le Trascrivo qualche Perla del Saggio, Firmato da Josè Combin, dal Titolo ”Chiesa e Potere: “Questi movimenti, cioè l’Opus dei, i Legionari di Cristo, Sodalitium ed altri sono affascinati dal potere. Manifestano una volontà ferrea di accumulare ricchezza materiale, prestigio sociale, potere politico, potere culturale… Stringono alleanze con i potenti, con le istituzioni dominanti della società occidentale. Ignorano la voce che si alza dal mondo degli oppressi. Ignorano questo mondo perché il loro mondo è quello dei dominatori”.

Pietro Aretino, già detto Avena Gaetano         


Pubblicato il 9 Agosto 2016

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