Cultura e Spettacoli

Figliadorrè, la ballata proibita

In ‘L’amaro caso della baronessa di Carini’ (un testo di D’Anza e Mandarà, da cui uno splendido sceneggiato tv diretto nel ‘75 dallo stesso D’Anza), Nele Carnazza, un cantastorie, viene percosso dagli uomini del barone D’Agrò per aver cantato una ballata proibita, quella della Baronessa di Carini, uccisa dal padre per motivi d’onore. Quella scena ci è risalita alla memoria all’ascolto di ‘Figliadorrè’, ultima incisione  di Terrae dove si racconta l’epopea di una brigantessa immaginaria. Se al termine della sfortunata Guerra di Resistenza che insanguinò il Mezzogiorno all’indomani dell’Unità un artista di strada si fosse arrischiato a cantare una possibile ballata di Figliadorrè, Regi Carabinieri non gliel’avrebbero perdonata. E quella di Figliadorrè ha tutte le caratteristiche di un modulo musical-letterario che non ha tempo, quello della ballata popolare volta a celebrare le gesta dell’eroe di turno, sconfitto malamente, perciò vicino al cuore di chi (il popolo) a perdere ha fatto il callo. In quattordici quadri si snoda la storia di questa figlia del popolo, dallo sguardo così “altero e diffidente” che persino i signori ridevano del suo contegno di “serva principessa”. A vent’anni Figliadorrè, anche per “mettersi alle spalle il baronato” arriva a piedi a Bari per vedere i Reali (Franceschiello il prossimo Re si univa in matrimonio con Maria Sofia). A Bari conosce un soldato, se ne innamora, lo segue, al suo fianco apprende la dura vita del soldato, combatte al Volturno, dove cade il suo bel dragone “dagli occhi di bambino”. Inferocita, si unisce a una banda di briganti, che stupisce con la sua “ferocia” prima di diventarne il capo. Figliadorrè, “papavero rosso, anima nera” va “al sacco del passato” razziando masserie, umiliando signori. Ma siamo agli “ultimi fuochi”. La banda di Figliadorrè cade in un’imboscata a Bosco Chianelle. L’epilogo vede trentatre corpi gettati “con disprezzo e con sollievo in una sola fossa senza croce”, “la rossa indiavolata era caduta, la rossa non faceva più paura”. Insomma, “brigante se more”, canta Bennato nel cameo di chiusura. Muovendosi tra sonorità di gusto coerente con la tradizione del tempo e aperture contemporanee, Paolo Mastronardi e Stefano di Lauro (sue le parole), con senso affettuoso dell’epica intessono un raffinato tappeto musicale sul quale ricamano le voci limpide di Rocco Capri Chiumarulo e Loredana Savino, accompagnate da uno stuolo di validi esecutori. Molto belli gli arrangiamenti, la cui opportuna modernità in taluni momenti sembra strappare la storia agli anni suoi per trascinarla nel presente. Chi oggi Figliadorrè? Non tornò Franceschiello, né più in là venne Baffone a sollevare i proletari. Ma Figliadorrè potrebbe essere sbarcata da una carretta del mare.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 19 Dicembre 2013

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