Cultura e Spettacoli

Il gladio di Minucio

Nel suo ‘Bellorum omnium annorum’ Publio Annio Floro ( Africa, 70/75 circa – Roma, 145 circa), racconta settecento anni di guerre romane da Romolo ad Augusto. Tra innumerevoli battaglie trova posto anche quella ingaggiata da Roma contro Pirro nel territorio dell’attuale Ascoli Satriano (vicino Foggia) nel 279 avanti Cristo. Lo scontro si risolse a sfavore di Roma. Non di meno il successo della coalizione italica  avvenne a tale prezzo che, scrive Plutarco, il principe epirota ebbe così a rispondere a chi si congratulava con lui per la vittoria : “Un’altra vittoria così e sarò rovinato” (da cui la celebre espressione – poi impiegata per analogia anche per vicissitudini legate  al mondo degli affari, della politica e dello sport – ‘vittoria di Pirro’). La risicata affermazione di Ascoli Satriano si spiega alla luce del fatto che i romani avevano cominciato a non temete più gli elefanti. E’ noto infatti che a determinare l’iniziale trionfo di Pirro era stata la gran novità, almeno da questa parte del Mediterraneo, dell’impiego degli elefanti in battaglia. Al di là del terrore suscitato tra i legionari dall’imponenza di un animale sconosciuto, c’era il fatto che in groppa a questi colossi trovavano posto torrette cariche degli arcieri migliori… Ma se nel precedente scontro, quello di Heraclea del 280 a. C., la presenza degli elefanti aveva fatto la differenza, già nella battaglia di Ascoli Satriano i romani avevano imparato a contrastare la minaccia spaventando i pachidermi col fuoco. La reazione degli elefanti davanti a fascine impeciate e ardenti fatte rotolare loro contro, restituì coraggio ai legionari. Così contrastati e messi nell’impossibilità di avanzare, gli elefanti da guerra di Pirro smisero ad Acoli Satriano di rappresentare quel vantaggio tattico e psicologico che tanto aveva inciso a Heraclea. S’inserisce in questo ritrovato spirito combattivo dei romani l’episodio di Gaio Minucio o Numicio, di cui parla Floro : Questo Minucio era un ‘astato’, ovvero uno dei soldati di prima linea i quali – già protetti da scudo e corazza – erano armati di hasta (una lancia lunga quasi due metri) e gladius  hispaniensis, ovvero la celebre, micidiale arma ‘corta’ che dalla seconda guerra punica agli anni della dinastia giulio-claudia rappresentò la spada d’ordinanza del legionario romano. Lunga ottanta centimetri e affilata da ambo i lati, maneggevole e potente nel colpo, quest’arma si rivelava perfetta nel combattimento a breve distanza. Minucio puntò l’asta verso gli occhi dell’animale. Quello, per difendersi, avvolse la proboscide intorno alla lancia. Prontissimo, il soldato impugnò il gladio e inferse un ben assestato colpo. Con la proboscide tranciata il povero animale indietreggiò in un barrito di dolore.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 17 Dicembre 2019

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