Cronaca

La strage silenziosa dei bar, tra chi vende e chi non apre più

La strage silenziosa (ma non troppo) dei bar. E’ in atto da almeno due anni. Lo denuncia con dati alla mano  (forse persino troppo bassi) un rapporto di Unioncamere. Secondo Unioncamere, infatti, negli ultimi due anni in Italia ben 7.000 bar hanno chiuso battenti e ci sono vittime illustri, persino caffè di antica tradizione. Insomma, un quadro preoccupante sia dal punto di vista economico che da quello occupazionale. Il Quotidiano ha intervistato alcuni titolari di noti bar cittadini per tastare il polso e capirne di più. Partiamo da Vito Scalera,  patron dell’affermato Bar Moderno a Poggiofranco, rappresentante di categoria Bari Bat per Confcommercio:  “Quello che ha pubblicato Unioncamere è assolutamente attendibile e rappresenta in modo reale quanto attraversa la nostra categoria. Del resto io avevo predetto che alla fine della pandemia, cioè quando si sarebbe tornati alla normalità, molti di noi avrebbero chiuso battenti. Infatti, nei due anni pandemici il mercato per via dei provvedimenti del governo è stato drogato. I pagamenti sono stati sospesi, qualche sussidio è arrivato. Ma quando si è ripartiti, i nodi sono venuti al pettine nella loro crudezza e chi non ha le spalle forti ha chiuso bottega. A questo si aggiunga la criminalizzazione fatta del bar e del ristorante come luoghi del contagio, mentre supermercati e ipermercati hanno fatto bellamente i loro comodi al pari dei bar degli autogrill”. Veniamo agli aumenti attuali: “Oggi la situazione peggiora di giorno in giorno, penso all’ energia elettrica e al gas. Ricordo che i bar sono per loro natura aziende energivore, specie quelli che hanno il laboratorio di pasticceria e gelateria. Il costo dei servizi di luce e gas è lievitato persino del 50 per cento, alla pari delle materie prime, penso al latte, al caffè, zucchero. Noi registriamo in più una flessione di clientela in quanto circola meno gente e non vi è grande disponibilità a spendere”. Dello stesso parere di Vito Scalera è Mino D’ Alonzo di Jerome, a Piazza San Ferdinando: “I dati forniti da Unioncamere sono assolutamente veritieri e direi che sono persino bassi rispetto alla realtà. Tanti che non hanno le spalle forti hanno chiuso ed era normale dopo la fase della pandemia. Questa, senza grossi capitali, è un’attività che non regge più. Siamo sotto assedio per via degli aumenti ormai fuori controllo, penso alla luce e al gas e alle materie prime. Per stare nei costi e ricavare un guadagno accettabile dovrei vendere come fanno a Milano una colazione a quattro euro, ma qui brontolano già se la metto a tre. Anche il numero dei visitatori si è ridotto e dobbiamo necessariamente ritoccare in alto i prezzi”. Michele Floro, titolare di due punti vendita, uno in via San Francesco d’ Assisi e l’ altro in Corso Vittorio Emanuele: “Il guadagno ormai si è ridotto e molti hanno rinunciato al gusto del caffè e della colazione da noi. Tutto è aumentato sia nelle materie prime che nei servizi e vedo per noi un futuro davvero complicato”.

Bruno Volpe


Pubblicato il 4 Maggio 2022

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