Cultura e Spettacoli

La superstrada di Egnazia

C’è stato un tempo (parliamo di soli 25 anni fa) in cui i visitatori potevano aggirarsi liberamente per gli scavi di Egnazia e senza neanche pagare un biglietto. Tutto il contrario, oggi. Il biglietto d’ingresso al parco archeologico consente solo di ammirare quelle rovine dall’alto di una modesta balconata. Non è perciò più possibile posare i piedi sulla grande strada (l’Appia antica) che una moltitudine di calzature, carri e zoccoli pestò per secoli. Una strada che percorsa a piedi nudi mette i brividi. Su quegli stessi tavelloni viaggiò Orazio, che alla sosta egnatina dedicò alcuni passi nel primo libro delle Satire. E prima e dopo il grande poeta, quanti  legionari e condottieri, quanti mercanti e ambasciatori e messaggeri, matrone con servi e schiavi al seguito. Osservando lo stato di conservazione di quelle pietre e confrontandolo col mediocre stato di salute delle nostre vie, non viene da abbassare il capo? Il segreto dei Romani, ignoto a tutte le grandi civiltà del passato, consisteva nel mettere al primo posto la qualità del sottofondo stradale. Se Assiri ed Egizi si limitavano a realizzare livellate distese di sassi la cui profondità non superava la ventina di centimetri e che al primo cedimento del terreno s’infossavano o inclinavano lateralmente, la tecnica romana – almeno relativamente alle strade di grande comunicazione – guardava ben al di là delle quattro stagioni. Tutto aveva inizio con lo scavo di un fossato profondo non meno di mezzo metro e il cui fondo veniva riempito a strati alterni di materiale diverso. Il primo strato era di grossi sassi, il secondo di breccia e cocciame misti a calce. Seguiva uno strato di ghiaia piuttosto grossa che, dopo essere stata livellata, veniva compressa con grossi cilindri di legno battuti con movimento verticale. Infine arrivava il momento dei lastricato, composto da massi poligonali spianati superiormente e combinati in modo da ridurre all’estremo ogni interstizio. Un sapiente curvatura del piano stradale, poi, assicurava che la pioggia scorresse verso i bordi esterni evitando il formarsi al centro di fastidiose pozzanghere. Con queste accortezze, la manutenzione della strada si limitava alla sostituzione periodica del lastrico, quando l’andirivieni dei carri finiva con lo scavare solchi sul selciato. Eppure, malgrado tante cautele la velocità di percorrenza, valutata secondo i nostri parametri, era piuttosto bassa : un carro non faceva più di 7/8 km in un’ora, a piedi si potevano percorrere in una giornata circa 30 km. I messaggeri imperiali, però, potendo cambiare cavallo ad ogni stazione di posta, erano in grado di galoppare  dall’alba al tramonto fino a coprire 80 km. Ciò significa che un dispaccio inviato dalla Capitale poteva raggiungere Brindisi in meno di dieci giorni, una velocità risibile per il mondo d’oggi ma assolutamente sbalorditiva per quei tempi. Le grandi strade romane contribuirono in modo determinante alla ‘velocità’ di comunicazione, elemento imprescindibile per un impero dove le distanze si misuravano nell’ordine delle migliaia di km.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 18 Luglio 2014

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